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COMPASSIONE


1. La "categoria" della compassione
La categoria della compassione, pur nella sua fragilità, introduce nell’orizzonte della riflessione teologica, una modalità di pensiero che sembra sfiorare l’utopia di un messaggio profondamente provocatorio. Affermare che Dio è soggetto di compassione significa mostrare che la presenza di Dio nella storia è fondamento della liberazione dell’uomo, perché nella sua cura per noi è possibile cogliere creativamente nuove possibilità di futuro e di vita. La stessa vicenda di Gesù, il suo itinerario di sofferenza, vulnerabilità e impotenza fino alla morte, non contraddicono la sua forza messianica, ma la situano nelle condizioni di una com-passione che anticipa la resurrezione come evento della vita e reale precorrimento della giustizia e dell’amore. É, in fondo, questo il leit-motiv del Magnificat, nel quale è condensato simbolicamente l’esperienza di Maria, che non si è rassegnata a subire l’esistenza, ribellandosi a quanto calpesta la dignità di ogni persona e schierandosi dalla parte del Dio che usa misericordia nei riguardi di coloro che contano poco o nulla davanti agli occhi della storia. “La lieta notizia non consiste nella rivelazione di un segreto capace di sollevare la terra e cambiare la storia (sebbene sia anche questo), ma è l’evangelo dell’innamoramento di un Dio appassionato, il quale considera l’oggetto del suo amore l’uomo/la donna, più importante della sua stessa vita. Al centro del cristianesimo c’è il Magnificat, con il decalogo del Dio appassionato”. Tutto ciò dice che la novità cristiana vive di questa passione che è capacità di donare la propria vita, oltre il mito dell’efficienza e del self-control. Non è, forse, la compassione quel desiderio e quella tensione verso l’altro, il suo volto, la sua presenza interrogante che mette in movimento e dona sapore alle cose? In tal senso, la compassione è testimonianza di una soggettività credente liberata dall’amore, è apertura che richiede costantemente relazione con l’alterità. In questa attenzione all’altro, il soggetto scopre i tratti della sua identità, il valore dell’incontro che chiama alla conversione, la condizione di una way of life evangelica. Ma la compassione è anche riserva critica nei riguardi del mondo e della storia, perché pone disordine e crisi in quelle situazioni standardizzate, abituate a vivere secondo moduli egocentrati e strutturalmente ingiusti. Per questo, essere compassionevoli significa vivere la passione per la vita e i suoi obiettivi/valori che si relazionano alla nostra identità finita, ma vuol dire anche entrare nella logica del desiderio di Dio, il cui pathos si è mostrato nel dono totale di Sé. “I credenti, che intendano «vivere nel pathos di Dio», non potranno scendere a compromessi, che sono dettati dalla pigrizia e che in ultima analisi non significano altro se non un adattamento a situazioni solo apparentemente inevitabili. Non potranno accettare che le contraddizioni vengano occultate ed assolutizzate a tutto detrimento di chi è senza potere e non ha voce”.

2. La compassione nella soggettualità credente di Maria
a) La compassione tematizza una modalità di essere soggetto nella sua responsabilità storica e nella costitutiva relazione a Dio. In tal senso, è opportuno partire da una considerazione interna alla riflessione mariologica: la tematizzazione della particolarità di Maria come prototipo di una nuova umanità, rinvenibile non solo nella sua tipicità ecclesiologica, in quanto diventa criterio interpretativo (cf. Lumen Gentium, VIII) dell’essere credente, ma individuabile anche nella soggettualità responsabile di un processo di liberazione. Se Maria, “microstoria della salvezza” simboleggia la dinamica storica della rivelazione, lo è per quella singolarità che le proviene dalla unicità della prossimità cristologica che implica il decentramento delle proprie attese e la disponibilità ad entrare nel Mistero come condizione di comprensibilità della sua identità. Qui si coglie la densità teologica della sua maternità, che libera il pensare e l’esistere nella libera condivisione di ciò che si è, si sperimenta e si ha. Nell’essenza della relazione, la maternità di Maria rovescia il modo di leggere l’esperienza credente come garanzia del proprio desiderio religioso, per il fatto che la sua relazione con il Figlio si esprime nell’apertura ad una Verità che la oltrepassa, interpellandola nella possibilità o meno di accogliere l’evento. Nella inafferrabilità dell’inizio, si cela la promessa di una verità liberante che esige il coinvolgimento e la passione personale, l’aprirsi ad una reciprocità il cui significato sta nella libertà del riconoscimento e della donazione.
b) Da quest’angolatura, l’irruzione di Dio nella sua imprevedibilità, viene letta da Maria come evento di una compassione senza limiti, che rende il credere un pensare altrimenti e un diverso modo di essere, dove l’io si comprende nell’affidarsi all’Altro e agli altri. Il difficile è proprio nella decisione dell’affidarsi, perché tale scelta richiede la capacità di smascherare “le illusioni del nostro io competitivo, di rinunciare ad afferrarci alle nostre distinzioni immaginarie come fonte d’identità e d’immergerci in quella intimità con Dio che Gesù stesso conosce. É questo il mistero della vita cristiana: ricevere un nuovo io, una nuova identità, che non dipende da ciò che otteniamo, ma da ciò che siamo disposti a ricevere”. Non meravigli, di conseguenza, che nell’Immacolata Concezione è sigillata la verità dell’umano segnato dalla possibilità di vivere un’esistenza riconciliata, non lacerata dalla conflittualità del negativo che distorce e disgrega l’uomo, fino allo smarrimento dell’identità autentica. É l’espressione di una relazione qualitativamente differente che dice la possibilità reale di ricostruire in sé e nel rapporto con il Dio con noi il significato più profondo del nostro essere. Maria, mentre costituisce una ferita del desiderio umano di manipolare la realtà
secondo una logica narcisistica del vivere per sé, al contempo indica nell’evento della comunione con Dio quel di più di senso che innerva l’esistenza del pathos di Dio.
c) Ne consegue che dall’evento di compassione cono dono di Dio, scaturisce l’esperienza del discepolato come espressione della propria identità e vocazione.. In Maria la sua identità è intimamente connessa con la sua vocazione, l’essere madre è segno dell’autenticità di una esistenza che fa germinare un mondo altro, nuovo. Nella concreta banalità e durezza del quotidiano, Maria partecipa al progetto creativo del Dio di Gesù Cristo, insegnando che è la vita di ogni giorno il cantiere dove si costruisce la storia della salvezza. Qui va collocata la rivoluzione della sua santità che, nel riconoscimento di una Alterità che la oltrepassa, mostra Maria sorella e compagna dell’avventura cristiana. Si potrebbe quasi dire che la forza della sua santità sta nell’aver tematizzato e sintetizzato l’esperienza del discepolato nell’eccomi. “Ecco la serva del Signore” (Lc 1, 38), che è più di una semplice affermazione di disponibilità, perché mostra come l’identità sia segnata dall’incontro costante con l’alterità. Dinanzi all’altro, l’io è un essere interpellato, chiamato ad una parola che dipende da un’altra parola. Il discepolato di Maria sta proprio in questa differenza etica che dice ospitalità e passione per il Regno come segno della relazione con l‘altro. Non parte da un io preoccupato di gestire tutta l’ampiezza di una scelta, ma dal gesto che la espone al Tu, al tu Dio. In questo senso, la vocazione di Maria corrisponde alla sua identità che si esprime nella relazione di maternità-sororità, espressioni queste che indicano la generazione di una vita differente, non dissipata né vissuta passivamente. Nel riconoscimento di Dio, nella scoperta della propria creaturalità e di un mondo che è lo spazio nel quale vivere la profezia della fede, il credente, sulla scia di Maria, pone le premesse perché avvenga la storia della salvezza. Oltre la concezione di un umanesimo ateo che pensa il mondo e la vita come pura casualità, in cui non c’è nulla di profondamente serio e stabile; al posto di una visione religiosa che si piega nell’affannosa rincorsa al proprio sé, essere discepoli del Cristo significa attuare la propria vocazione come liberazione dalla falsa immagine di sé e del mondo. Il credente è tale nella misura in cui scopre che esistere vuol dire essere chiamati alla responsabilità e alla compassione.
d) Un ultimo dato, infine, in quella che si può chiamare l’etica della visitazione e della solidarietà. Se il credere dona forma e qualità nuova dell’esistenza, è perché è in grado di condurre il soggetto a scelte che fanno della condivisione uno stile di vita. Il gesto emblematico della visitazione rompe l’ambiguità del tempo e dello spazio della liberazione-salvezza intesi nell’intimità della propria spiritualità, nel momento in cui finisce il tempo della legge e comincia il tempo del dono e della gratuità.. L’attenzione all’altro, che implica sempre un esodo, una fuoriuscita dal privatistico; la riscoperta e la riaffermazione della comunione interpersonale, che scandisce il vero movimento verso la libertà; la religione del dono e della povertà (come mostra il Magnificat) che contro ogni evidenza interrompe le amnesie della fede e produce lo scandalo della speranza, esprimono la responsabilità e la soggettualità di Maria segno della novità inaugurata dallo Spirito santo. Ciò si comprende ancor di più nell’esperienza emblematica della compassione, quella della capacità di assumere il dolore come fallimento e scandalo, pur nella verità propedeutica all’unica risposta possibile. In tal senso, l’immagine della Mater dolorosa contiene simbolicamente quella profonda verità sulla vita umana che è il dolore e le differenti forme di sofferenza. L’assurdo che promana da qualcosa che urta, o sembra farlo, l’incondizionato processo di autoemancipazione dell’uomo, viene a scontrarsi con l’apparente non-senso che si cela dietro il fatto che la liberazione radicale della propria personalità passa proprio attraverso l’accoglienza della sofferenza in un esercizio di compassione. La scena di Maria ai piedi della croce, provoca la nostra intelligenza ad entrare nella densità esistenziale del mistero del dolore, in quanto principio ermeneutico della nostra destinazione. Così si esprime L. Pinkus: “Nelle parole e nei gesti di quella scena è indicato che la persona umana può rendere creativa la sofferenza, può assumere come Maria, una posizione tale da rovesciare lo stesso evento dolorifico nel senso di volgerlo, da potenziale fattore di lutto e di depressione, in partecipazione all’emergere delle energie liberatrici che portano a compimento la nuova creazione”.
e) Qui sta la forza rivoluzionaria di una vita che non si accontenta dell’ordine esistente e lotta per ricreare una realtà il cui significato sta nel convivere nell’amore e nella costante ricerca della dignità dell’altro. La vera liberazione, l’impossibile che s’incunea nelle vene del possibile talvolta appesantito dalla stanchezza dell’insuccesso, dalla convinzione che nulla potrà cambiare, sta nella logica della sororità che Maria esprime, trasformando la sua autorità in servizio, nel primato di una prossimità solidale. Si potrebbe quasi dire che nella sonorità che si affianca alla maternità, cambia la modalità della relazione, dove non c’è più né servo né padrone, ma ognuno è al tempo stesso l’uno e l’altro. “ Maria come vergine e madre non deve essere intesa come una duplice, impossibile proposta, come un’ideale inimitabile, deve invece essere vista come un importante simbolo cristiano che significa autonomia e relazione, forza e tenerezza, lotta e vittoria, potenza di Dio e azione umana, non in competizione ma in collaborazione”. Si creano così le condizioni perché la compassione e la solidarietà diventino criteri di un’esistenza vissuta sì verso un altro, ma soprattutto con l’altro, come costruzione comune.. E’ questa “teologia del rovesciamento delle situazioni” che assume la sua valenza profetica nel Magnificat, a far emergere il modo con cui il credente e la comunità ecclesiale sono chiamati a testimoniare il paradosso del Vangelo che, in qualità di memoria sovversiva, narra la compassione di Dio come unico accesso al segreto di un’autentica esistenza.

Bibliografia
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