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GIOVANNI CRISOSTOMO



Il pensiero di Crisostomo su Maria è stato esaminato soprattutto nell'ambito di studi sulla mariologia di età patristica; in particolare è stato sottolineato che egli da un lato, in linea con la tradizione del suo tempo, mette in evidenza la missione di Maria nel mistero del piano provvidenziale divino, alla luce dell'incarnazione, dall'altro mostra lo sforzo continuo della Vergine, quale discepola di Cristo, sulla via della fede e della perfezione, come si avrà modo di rilevare più in dettaglio nel corso del presente lavoro.

1. La perpetua verginità di Maria

Il nostro autore, nel Commento a Isaia, si sofferma innanzitutto sul segno, costituito dal concepimento della vergine di cui si parla nel celebre passo di Is 7,14, per pone l'accento sul fatto che il segno deve superare l'ordine comune delle cose, il corso della natura ed essere nuovo e straordinario al punto da rappresentare un segno peculiare per ciascuno di quelli che lo vedono o ne sentono parlare. Ecco perché Crisostomo, citando il suddetto testo biblico e facendo anche un rilievo di carattere filologico, osserva che il profeta non ha detto semplicemente «una vergine», ma «la vergine», con l'aggiunta dell'articolo, in quanto alludeva ad una vergine unica e distinta dalle altre. A questo punto Giovanni si interroga sul motivo per cui nel passo di Isaia non si fa riferimento al fatto che il parto della vergine sarebbe stato opera dello Spirito e spiega che occorreva che quanto era annunciato dal profeta fosse avvolto nell'ombra a causa della cecità spirituale dei suoi uditori, nel timore che essi, se avessero appreso chiaramente tale evento, avrebbero potuto reagire bruciando il testo profetico. Ma, si chiede il nostro autore, una vergine, finché resta vergine, come potrebbe concepire diversamente se non per opera dello Spirito santo? Ne consegue che a nessun altro era possibile sospendere la legge della natura, se non all'autore della natura, per cui il profeta, dicendo: «la vergine concepirà», ha rivelato tutto, adombrando quindi l'intervento dello Spirito. Del resto spesso, nelle sue opere, Crisostomo si sofferma sull'incomprensibilità ed imperscrutabilità non solo della generazione divina del Verbo, ma anche della nascita verginale di Cristo da Maria. Nelle Omelie sull'oscurità delle profezie, ad es., il nostro autore, applicando a Cristo l'immagine di Melchisedek «senza padre, senza madre, senza genealogia», di cui si parla in Eb 7,3, dopo aver rilevato che il Figlio di Dio è senza padre riguardo alla generazione terrena e senza madre riguardo a quella celeste, mette in evidenza il mistero relativo al modo con cui egli è stato generato dalla Vergine e ha cura di sottolineare che tuttavia si deve confessare la realtà di questa generazione anche se se ne ignora la modalità. Su tale mistero Crisostomo insiste nelle Omelie sul vangelo di Matteo, mettendo in guardia dall'indagare inopportunamente su di esso al di là di quanto è detto nella Scrittura; si trattò infatti di un evento straordinario che travalicava ogni previsione e aspettativa. Non ci si deve dunque interrogare razionalisticamente su come lo Spirito abbia operato questo nella Vergine perché, se quando opera la natura è impossibile spiegare il modo della formazione dell'essere umano, quando lo Spirito compie prodigi come si potrà spiegarlo? Né Gabriele né Matteo hanno potuto dire qualcosa di più, ma solo che era opera dello Spirito, mentre come era opera dello Spirito, nessuno di essi l'ha spiegato perché non era possibile; si ignora infatti come chi è infinito sia racchiuso nel seno materno, come chi tiene insieme tutto sia portato nel grembo di una donna, come la Vergine generi e rimanga vergine. Altrove Crisostomo, nel ribadire che il concepimento verginale di Maria era al di sopra della natura, citando Lc 1,31.34-35, osserva che questo evento si sarebbe realizzato proprio perché ella non conosceva uomo, in quanto, in caso contrario, non sarebbe stata ritenuta degna di assumere questo servizio. Il nostro autore inoltre mostra come Maria fosse guidata alla fede in ciò che le veniva annunciato dagli esempi di quelle donne dell'AT, quali Rebecca, Sara, Rachele, che, pur essendo sterili, generarono figli in virtù della promessa di Dio. Proprio nel turbamento di Maria, quando udì le parole dell'angelo e si chiese quale senso avessero,Giovanni intravede la mirabile virtù della Vergine; l'annuncio dell'angelo prima che si verificasse il concepimento ebbe la funzione di preservarla dall'agitazione e dall'angustia che sarebbero state inevitabili se tale evento fosse accaduto prima dell'annuncio. Doveva infatti essere senza turbamento quel grembo, dove sarebbe entrato il Creatore di tutto, doveva essere libera da ogni inquietudine quell'anima che era stata ritenuta degna di diventare ministra di tali misteri. A proposito di Mt 1,22-23, ove è riportata la celebre profezia, già ricordata, di Is 7,14 sul segno rappresentato dal concepimento della vergine, Crisostomo si preoccupa di affermare l'integrità della verginità di Maria, spiegando che se non fosse stata vergine colei che avrebbe concepito, ma tale fatto fosse accaduto secondo la legge del matrimonio, sarebbe rimasto privo di significato il segno annunciato dal profeta, in quanto esso, per essere tale, doveva trascendere l'ordine comune ed essere inusitato. Il nostro autore inoltre polemizza contro coloro che negano che nel testo di Is 7,14 si parli di verginità perché, a differenza della traduzione dei LXX che hanno il termine «vergine», altri, più recenti traduttori 18 rendono il medesimo termine semplicemente con «fanciulla». Giovanni argomenta che, mentre i traduttori più recenti hanno redatto la loro versione dopo la venuta di Cristo e, rimanendo giudei, si sono comportati con animosità mettendo in ombra le profezie, per cui dovrebbero essere visti con sospetto, i LXX invece, che realizzarono la loro opera prima dell'avvento di Cristo e perciò sono esenti da ogni sospetto, risultano maggiormente degni di fede anche per il loro unanime accordo. La verginità di Maria viene ribadita da Crisostomo anche in rapporto con Mt 1,25, dove l'evangelista afferma che Giuseppe non si accostò a Maria finché partorì suo figlio. Per Giovanni è stato usato il termine «finché» perché si sapesse che prima del parto la Vergine era del tutto integra e non perché si immaginasse che dopo Giuseppe si accostò a lei; questi infatti, che era giusto, non avrebbe dopo osato accostarsi a lei che era divenuta madre in questo modo straordinario ed era stata ritenuta degna di un parto così singolare.

2. La progressiva conoscenza del mistero di Cristo da parte di Maria

Crisostomo mostra come Maria avesse acquistato progressivamente una consapevolezza maggiore nei confronti del Figlio; è per questo che, secondo il nostro autore, in occasione delle nozze di Cana ella con fiducia si rivolge a Gesù facendogli notare che nel convito nuziale non c'era più vino. Diversi sono gli elementi che per Crisostomo inducevano la Vergine ad avere un'alta opinione del Figlio: innanzitutto lo stesso prodigioso concepimento, tutto ciò che era avvenuto dopo la nascita di Gesù, come viene rilevato attraverso il riferimento a Lc 2,51: «Serbava tutte queste cose nel suo cuore», quindi il fatto che egli cominciava a manifestarsi, era noto tramite la testimonianza di Giovanni Battista ed aveva un gruppo di discepoli. Al tempo stesso Crisostomo rileva anche una motivazione, per così dire, di carattere umano nell'intervento di Maria durante la festa nuziale, in quanto ella voleva, in questo modo, procurarsi dei meriti presso gli invitati al matrimonio e rendere sé stessa più fulgida mediante l'opera del Figlio. Il nostro autore accomuna questi sentimenti della Vergine a quelli dei fratelli di Gesù che, in Gv 7,4, lo spingevano a manifestarsi al mondo, volendo trarre profitto dalla gloria che proveniva dai suoi miracoli. Il rilievo dato a questo atteggiamento di Maria è funzionale alla preoccupazione di Crisostomo di spiegare il modo un po' forte con cui Gesù rispose alla madre secondo Gv 2,4: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». Infatti l'Antiocheno ha cura di sottolineare il grande rispetto che Cristo aveva nei riguardi di Maria, come è attestato da Luca, che narra come egli fosse sottomesso ai suoi genitori, e da Giovanni che mette in rilievo la premura di Gesù verso la madre perfino nel momento della crocifissione. Analogamente Crisostomo vuole rendere conto dell'espressione con cui Gesù replica a quanti gli facevano notare che sua madre e i suoi parenti lo cercavano: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Queste parole non intendevano minimamente offendere Maria, ma, poiché ella, avendolo generato, riteneva giusto, secondo la consuetudine delle madri, di ordinargli tutto, mentre avrebbe dovuto venerarlo e adorarlo come Signore, Gesù rispose così per aiutarla nel modo migliore ad avere di lui la dovuta opinione. È questo, in ultima analisi, nell'intenzione del nostro autore, un gesto di amore e di premura di Cristo nei confronti della madre; al tempo stesso Crisostomo mostra di conferire al suo discorso un'impronta fortemente cristologica e, alla luce di questa, tratteggiare la figura di Maria. Similmente le parole di Gesù: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!», in replica a quanto una donna aveva esclamato: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte! », non intendevano, per Crisostomo, respingere la madre; ma indicare che il fatto di averlo partorito non le sarebbe servito se non fosse stata assai virtuosa e fedele alla volontà di Dio, come lo era effettivamente. Del resto, sempre a proposito delle nozze di Cana, il nostro autore, non manca di sottolineare la saggezza di Maria che aspettò che il Figlio agisse e gli mandò i servi, perché quanto gli richiedeva provenisse da più persone. Anche nel commento specifico a Mt 12,46ss., passo parallelo a quello di Mc 3, 33, cui si è accennato in precedenza, la risposta di Gesù: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?», rivolta a chi gli segnalava che essi lo stavano cercando per parlargli, offre lo spunto a Crisostomo per mettere in luce che nemmeno aver concepito Cristo e aver avuto quel parto meraviglioso avrebbe giovato a Maria se non avesse praticato la virtù.35 Il nostro autore ha cura di precisare che Gesù si esprimeva in questi termini non certo perché si vergognasse di sua madre o volesse disconoscere colei che l'aveva generato, ma per indicare che ella non avrebbe tratto alcun vantaggio dalla sua maternità se non avesse fatto tutto quello che doveva. Per valutare adeguatamente questo atteggiamento di Crisostomo occorre tener presente che egli, nella sua ansia pastorale e parenetica, si preoccupa di proporre sempre al pubblico che ascoltava le sue omelie la via che conduce al perfezionamento morale e al progressivo approfondimento del messaggio di Cristo. In questa ottica si comprende perché l'Antiocheno osserva che l'iniziativa presa da Maria in questa circostanza era dettata da zelo eccessivo in quanto voleva mostrare al popolo di avere potere e autorità sul figlio, mentre sarebbe stato più opportuno attendere che Gesù ponesse termine al suo discorso e poi interpellano. Anche in questo caso Crisostomo da un lato mostra la sollecitudine di Cristo nei confronti della madre al punto da affidarla, nel momento della crocifissione, al discepolo a cui era affezionato più di tutti, dall'altro rileva che Gesù, proprio per la cura che aveva verso di lei, desidera, attraverso una critica mite e moderata, guidarla progressivamente ad un'opinione conveniente su di lui e persuaderla che egli era non soltanto suo figlio, ma anche suo Signore. Ritornando ulteriormente sul riferimento a Lc 11,27-28, che abbiamo già incontrato in contesto analogo, il nostro autore mette in evidenza come Gesù, con le sue parole, non rinneghi in nessun modo la parentela secondo la natura, ma aggiunga quella secondo la virtù, per cui può concludere ponendo l'accento su quella maternità spirituale, aperta a tutti, cui allude il testo evangelico, fondata sul compimento della volontà del Padre.

3. Prefigurazione di Maria
Significative sono alcune prefigurazioni di Maria che Crisostomo individua rispettivamente nelle terra vergine dell'Eden, nella vicenda di Eva, correlata a Maria secondo il rapporto tipo-antitipo, nella singolarità del parto di alcune donne sterili dell'AT, quali Sana, Rebecca, Rachele, cui si è già accennato più sopra. Nello sviluppo ditali tipologie, accanto ad elementi risalenti ad una lunga e ben nota tradizione esegetica, è possibile riscontrare peculiarità caratteristiche dell'Antiocheno.
a) La terra vergine dell'Eden
Il parallelo terra vergine-Maria vergine, ampiamente presente nella letteratura cristiana dei primi secoli, è svolto da Crisostomo nel contesto dell'interpretazione del termine Eden con riferimento a Gen 2,8. Egli, dopo aver rilevato che Adamo significa «terrestre», osserva che Eden indica la terra vergine; tale era il luogo dove Dio piantò il paradiso che non era opera di mani umane, in quanto la terra era vergine e non era stata arata, ma, senza aver fatto l'esperienza di lavori agricoli, fece germogliare gli alberi per effetto del comando divino. In questo ambito si inserisce la corrispondenza tipologica fra la terra vergine (Eden) e la vergine Maria: come infatti quella terra, senza ricevere semi, fece germogliare il paradiso, così Maria, senza ricevere seme di uomo, generò Cristo. L'intento apologetico dell'argomentazione di Crisostomo si manifesta chiaramente quando egli continua osservando: «Quando il giudeo ti dice: Come ha partorito la Vergine?, digli: Come la terra vergine ha fatto germogliare quegli alberi straordinari?». Crisostomo, ribadendo il significato di Eden nel senso di «terra vergine», aggiunge che se qualcuno non vi crede, interroghi gli esperti della lingua ebraica e si renderà conto che questa è la spiegazione del termine. La cura con cui Crisostomo sottolinea tale interpretazione è tanto più significativa se si considera che generalmente gli autori cristiani, come del resto anche Filone, intendono Eden nel senso di «delizie». Si può quindi ipotizzare che proprio la necessità di replicare all'obiezione giudaica nei confronti del parto della Vergine abbia indotto Crisostomo a ricorrere alla suddetta interpretazione del termine Eden, misurandosi in qualche modo sul terreno stesso dei suoi interlocutori giudei; egli sembra voler dire che se si ammette il prodigio di una terra vergine che fa germogliare, analogamente si deve ammettere quello del parto della vergine Maria per effetto della medesima potenza divina che si dispiega dall'Antico al Nuovo Testamento.
b) Eva-Maria
Il tradizionale parallelo Eva-Maria viene inserito da Crisostomo all'interno di una più ampia corrispondenza antitipica fra personaggi e realtà rispettivamente dell'Antico e del Nuovo Testamento; un ruolo centrale viene ad assumere la figura di Cristo che, come rileva il nostro autore, ebbe il sopravvento sul diavolo servendosi degli stessi mezzi con cui il demonio aveva in precedenza riportato la vittoria. Crisostomo esamina quelli che erano stati i segni della sconfitta subita dall'uomo, vale a dire la vergine, il legno e la morte. Vergine era Eva perché non conosceva ancora uomo, il legno era l'albero della conoscenza del bene e del male e la morte era la pena di Adamo. Mai medesimi segni della sconfitta divennero segni anche della vittoria, in quanto al posto di Eva subentrò Maria, al posto dell'albero della conoscenza del bene e del male il legno della croce, al posto della morte di Adamo quella di Cristo. Un'altra serie di corrispondenze antitipiche è introdotta da Crisostomo nell'ambito dell'esegesi di Ps 44,5 (LXX), dove ribadisce che per mezzo della morte è stata distrutta la morte e ricorda anche l'eliminazione della maledizione mediante la maledizione, con l'effetto conseguente del dono della benedizione, con allusione a Gal 3,13-14, e la contrapposizione tra il cibo che ha determinato la cacciata dal paradiso e il cibo, con implicito riferimento a quello eucaristico, che vi ha ricondotto l'uomo. In modo significativo Crisostomo conclude questa serie di correlazioni con l'antitesi Eva-Maria: «una vergine ci ha cacciati dal paradiso, per mezzo di una vergine abbiamo trovato la vita eterna».
c) Il parto di alcune donne sterili dell'AT
Si è visto in precedenza che per Crisostomo la fecondità della terra vergine dell'Eden ha in qualche modo anticipato il prodigio del parto della Vergine Maria; un discorso simile è svolto a proposito del parto di alcune donne sterili dell'AT, unitamente al motivo apologetico nei confronti dell'incredulità dei giudei, riscontrabile anche nella correlazione stabilita da Cirillo di Gerusalemme fra il parto di Sara e quello di Maria, entrambi avvenuti al di là delle leggi di natura. Osserva Crisostomo: «È necessario dire perché fosse sterile la moglie di Isacco, affinché, quando vedi che la Vergine è diventata madre, tu non sia incredulo; affinché, quando ti dice il giudeo: Come ha partorito Maria?, gli risponda: Come hanno partorito Sara, Rebecca, Rachele?». Rendendo esplicita la corrispondenza tipologica fra queste donne e Maria, Crisostomo rileva che molte prefigurazioni precedono il verificarsi di un portento grande e meraviglioso e, per dare maggiore efficacia alla sua argomentazione, si serve di una suggestiva similitudine: come l'ingresso di un re è preceduto dai soldati in modo che la sua accoglienza non sia impreparata, così anche quando sta per verificarsi un prodigio straordinario, questo è preceduto da prefigurazioni in modo che, mediante tale esercizio preliminare, non si sia colpiti da improvviso stupore per tale evento. Anche nel corso del commento a Gen 25,21, dove si parla della sterilità di Rebecca, Crisostomo, ricordando la medesima condizione di Sara e di Rachele e chiedendosi perché esse fossero sterili, pur essendo i loro mariti giusti e virtuosi, intravede in questa sterilità un fatto che orienta in direzione della fede nella generazione del Signore da parte della Vergine. La sterile dunque, aperta alla procreazione per effetto della grazia di Dio, fa sì che non ci si meravigli del parto della Vergine, di cui costituisce un'anticipazione. In un altro passo Crisostomo sottolinea che occorreva un segno del parto della Vergine e ribadisce che la sterile è figura della generazione dalla Vergine e conduce alla fede. Egli infine, spiegando 1Cor 2,13, accomuna le prefigurazioni della resurrezione di Cristo e della nascita dalla Vergine, intraviste rispettivamente da un lato nella vicenda di Giona, tradizionalmente interpretata in senso cristologico, e dall'altro nel parto delle sterili, come anche nel germogliare degli alberi nel paradiso senza che fossero sparsi semi né cadesse la pioggia né fossero aperti solchi. Infatti gli eventi futuri erano delineati, come in ombra, da quelli precedenti, affinché fossero creduti al momento del loro verificarsi. Questo brano sintetizza efficacemente l'interpretazione crisostomiana, in prospettiva mariologica, del parto delle sterili e della fecondità della terra vergine dell'Eden; tale esegesi appare sviluppata dal nostro autore con tratti a lui peculiari sia per l'interpretazione del termine «Eden» come terra vergine, sia per l'insistenza con cui egli individua nelle donne sterili dell'AT la prefigurazione di Maria.

4. Conclusione

L'accento posto su queste corrispondenze tipologiche, anche in chiave polemica nei confronti delle obiezioni giudaiche, ha per Crisostomo la finalità di mostrare la credibilità di un evento così prodigioso come il parto della vergine Maria, opera della potenza e della grazia divine al pari di altri eventi straordinari avvenuti in precedenza, che hanno preparato l'accoglienza della fede nella singolare generazione di Cristo dalla Vergine. Con questo tipo di esegesi Crisostomo conferma ulteriormente la continuità fra Antico e Nuovo Testamento in una visione unitaria e coerente del piano salvifico divino che, mediante i prodigi operati nella storia prima dell'incarnazione di Cristo, guida l'umanità a comprendere la loro piena realizzazione nella maternità di Maria. È questa una maternità che, come si è sottolineato in precedenza, rimanda, per il nostro autore, ad un'altra di carattere spirituale cui possono accedere tutti coloro che accolgono Cristo nel loro animo mediante la fedeltà alla volontà del Padre. In ultima analisi quindi la riflessione di Crisostomo su Maria è fortemente radicata nella cristologia, il che spiega anche l'attenzione che egli mostra nel rilevare la progressiva consapevolezza della Vergine nei riguardi del mistero concernente la dignità del Figlio, e manifesta altresì un respiro trinitario in cui è inserita non solo la vicenda personale di Maria, ma anche, più in generale, di chi ascolta e porta a compimento la parola di Dio.

Bibliografia

ZINCONE S., Maria nell'opera di Giovanni Crisostomo, in Theotokos  XIV (2006) n. 1, pp. 31-41; FELICI S. (a cura di), La mariologia nella catechesi dei Padri (Età postnicena), in Biblioteca di scienze religiose 95, Roma 1991; ELLERO.M., Maternità e virtù di Maria in S. Giovanni Crisostomo, Roma 1964, TONIOLO E., Padri della Chiesa, in DE FIORES S.-MEO S. (a cura di), Nuovo Dizionario di Mariologia, Paoline, Cinisello Balsamo1986; GIOVANNI CRISOSTOMO, Opere, in Corpus Marianum Patristicum  II, a cura di ALVAREZ CAMPOS S., Burgos 1970, pp. 375-439; AA. VV., Testi mariani del primo millennio, Città Nuova, Roma 1988, vol. 1, pp. 405-425; GAMBERO L., Maria nel pensiero dei Padri della Chiesa, Cinisello Balsamo 1991, pp. 188-199.
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