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RELIQUIE DELLA VERGINE MARIA


1. La venerazione delle Reliquie
La venerazione delle reliquie è una pratica che risale agli inizi dell’età cristiana, e si riallaccia alla convinzione dell’esistenza di una vita dopo la morte, la Resurrezione dei morti appunto. Infatti, secondo quando sostiene lo storico Franco Cardini l’importanza della reliquia, nella tradizione ecclesiale cattolica, sta nel fatto che essa rappresenta un resto corporeo di santi o sante, di beati o beate, oppure di qualche oggetto santificato dal contatto con loro. Ciò che spinge un popolo al culto di una reliquia, ancora oggi, risponde ad una particolare legge psicologica che porta a venerare non solo la persona, ma anche le cose che le sono appartenute, quasi come se quella persona continuasse a vivere in esse e con esse, rendendo, di conseguenza, evidente la presenza del divino, giustificandone l’atto devozionale. Casi a sé, poi, sembrano essere le reliquie della Beata Vergine Maria e, soprattutto, di Gesù: si pensi alla straordinaria fortuna che ebbero nei primi secoli del Cristianesimo le reliquie del Legno della Croce e quelle del Sangue del Signore e del Latte della Vergine, segni quest’ultimi della remissione dei peccati. Da un punto di vista storico, per l’appunto, le reliquie cristiche e mariane costituiscono la prova e i pignora della comune salvezza, combinata con il mistero dell’Incarnazione, mentre le reliquie dei martiri sono il pegno della nota comunione dei santi, garante dell’unità della Chiesa intesa come Corpo Mistico e Sposa di Cristo, sulla quale si fonda la certezza che i santi continuano a proteggere, come mediatori, i credenti. In questo contributo mi limiterò ad analizzare le più famose reliquie mariane e la loro venerazione: la Cintola, il Maphorion, l’icona di San Luca. Queste tre reliquie hanno in comune il fatto che sono legate ad una città che ha fondato la sua supremazia e la sua importanza sulla venerazione e il culto della Beata Vergine Maria Madre di Dio: Costantinopoli. Il culto mariano a Costantinopoli crebbe d’intensità, infatti, quando queste reliquie arrivarono nella capitale dell’Impero Bizantino e costituirono definitivamente l’incoronazione della Vergine Maria come patrona e protettrice della Νέα Ρώμη. Non si conosce con precisione la sistemazione delle reliquie mariane a Costantinopoli perché le tradizioni non sono concordi. Inconfutabile è, però, il dato che il grande successo di queste reliquie si ebbe nel V secolo, quando esse si trovavano certamente nella città, mentre nel IV secolo la venerazione dei fedeli era rivolta principalmente alla reliquia della Vera Croce di Cristo.

2. La Sacra Cintola

Sulla storia della Sacra Cintola della Vergine esiste una vasta ma nello stesso tempo contraddittoria produzione letteraria circa la provenienza della reliquia, la data di acquisizione da parte della città di Costantinopoli e il lungo viaggio che l’ha portata fino a Prato, dove tutt’ora è conservata. La Sacra Cintola (dal greco ζώνη) è una sottile striscia di lana finissima di capra, lunga 87 cm, di color verdolino, broccata in filo d’oro. Gli estremi sono nascosti da una nappa su un lato e da una piegatura sul lato opposto, tenute da un nastrino in taffetà verde smeraldo. Secondo quanto ci riporta la tradizione dei Vangeli apocrifi, la Sacra Cintola sarebbe stata consegnata dalla Beata Vergine Maria a San Tommaso come prova dell’Assunzione in anima e corpo in cielo e come segno della sua benevolenza. San Tommaso, prima di partire per le Indie per la sua missione apostolica, consegnò la sacra fascia ad un sacerdote di Gerusalemme, ed è da questo momento che la reliquia mariana iniziò il suo viaggio passando prima nella Basilica di Santa Maria di Chalcoprateia a Costantinopoli e poi nella Chiesa di Santa Maria Soonoro in Siria; nel Monastero di Troodissa a Cipro; nel Santo e Grande Monastero di Vatopedi sul Monte Athos in Grecia; nella Collegiata di Nostra Signora nella Loira e successivamente traslata nella Collegiata del Quintin in Bretagna; nella Cattedrale di Santa Maria di Tortosa in Catalogna per poi ritornare nuovamente a Gerusalemme, fin quando non giunse, secondo le testimonianze d’archivio, nelle mani di Michele Dagomari da Prato, mercante in soggiorno nella Città Santa nel 1141, che ricevette la sacra reliquia come dote per il matrimonio con la figlia del sacerdote che l’aveva in custodia. Michele Dagomari da Prato nello stesso anno tornò in Italia e, naturalmente, portò con sé la reliquia, conservandola in una cassapanca, proteggendola con un atto che suscitò il disprezzo dei religiosi quando lo vennero a sapere: decise, infatti, di dormirci sopra ogni notte della sua vita. Solo in punto di morte, nel 1173, Michele Dagomari da Prato rivelò l’importanza di ciò che custodiva, e consegnò la reliquia nelle mani del magistrato civile e del preposto. La Sacra Cintola nel 1174 fu poi trasportata con una processione solenne nel duomo della città di Prato e collocata all’interno dell’altare maggiore. Secondo una leggenda cittadina Giovanni di ser Landetto da Pistoia, detto Musciattino, canonico e chierico secolare, il 27 luglio 1312 tentò di rubare la reliquia della Vergine Maria, per portarla nella propria città. Uscendo dalla città si perse nelle campagne circostanti a causa di una fittissima nebbia, e senza rendersene conto ritornò al punto di partenza. Pensando, infatti, di essere giunto a Pistoia, gridò “Aprite, aprite Pistoiesi: ho la Cintola de’ Pratesi! ”. Secondo quanto riportano le cronache dell’archivio comunale9, il ladro venne catturato e subì un processo sommario: fu condannato al taglio della mano destra, e dopo essere stato legato alla coda di un asino fu arso vivo. Una piccola postilla ci informa che dopo il taglio della mano, i pratesi arrabbiati la gettarono contro la chiesa “ tirata, dopo l’esecuzione, or qua, or là dal popolo per dispregio ”, e pare che essa lasciò una macchia di sangue a forma di mano ancora visibile su una pietra d’angolo in alto a sinistra dello stipite della seconda porta del fianco destro del Duomo. Può darsi però, che a commissionare il furto della santa reliquia fu Firenze, eterna rivale di Pistoia e che aveva lo scopo di controllare anche Prato, che proprio grazie all’afflusso di numerosi pellegrini e il prestigio della Sacra Cintola, stava diventando forte sia economicamente che politicamente. L’Ostensione avviene ancora oggi per le mani del Vescovo della città, il quale mostra la Sacra Cintola dal pulpito esterno del Duomo, costruito sul progetto di Michelozzo e decorato da Donatello, affacciandosi direttamente sulla piazza. Come già avveniva all’epoca dell’Impero Bizantino, quando le feste in onore della Vergine Maria Madre di Dio erano sempre connesse o con la Natività o con l’Epifania del Signore11, anche oggi, l’ostensione della sacra reliquia sembra continuare questa tradizione. Le date in cui la Sacra Cintola viene esposta sono, infatti: nel periodo pasquale, generalmente tra il 22 marzo e il 25 aprile; nel mese mariano per eccellenza: maggio (1 maggio); nel giorno dell’Assunzione di Maria (15 agosto); con particolare solennità il giorno della Natività di Maria, l’8 settembre ed infine il giorno della Natività del Signore (25 dicembre).

3. Il Maphorion

Il Maphorion è, forse, la reliquia più importante della Vergine Maria venerata dai cristiani. Esso era, infatti, il manto usato dalla Vergine per coprire il capo e le spalle; è di colore rosso porpora, che secondo la tradizione è il simbolo della regalità acquisita attraverso l’incarnazione di Cristo, proprio perché, come si diceva sopra, la venerazione per la Madre di Dio è sempre messa in relazione alla nascita o all’epifania del Signore, in quanto Maria è sempre percepita e contemplata nell’unità organica del mistero della salvezza. Sempre secondo l’iconografia, poi, sul capo e sulle spalle il Maphorion ha impresso tre stelle, antichissimi simboli siriaci della verginità. È interessante notare che nell’iconografia mariana, il Maphorion può assumere diverse gradazioni di porpora, a seconda che prevalga il rosso o l’azzurro, altro colore tipico della Vergine. I colori della veste e del suo manto risultano essere l’inverso dei colori di Gesù, perché la Vergine Maria indossa il Maphorion di color porpora sopra una tunica di tinta azzurra che sporge, generalmente, sul capo, sul petto e sulle maniche, a simboleggiare proprio che Maria è la Dei Genitrix, colei che è piena della Grazia di Dio; infatti, il rosso del manto ricopre e mette in ombra la sua umanità rappresentata dalla veste azzurra. Secondo la tradizione bizantina la reliquia mariana fu rinvenuta durante il regno dell’imperatore Leone I, fra il 457 e il 474 a Cafarnao in Palestina dai patrizi Galbio e Candidus. Il sacro velo era di proprietà di una donna ebrea, che lo custodiva in un’arca di legno. I due patrizi lo rubarono sostituendo l’arca con un’altra delle stesse dimensioni; da Cafarnao il Maphorion fu portato a Costantinopoli, e lì vi rimase fino alla conquista turca del 1453. Esiste, però, un’altra tradizione, di matrice occidentale, che riporta la notizia che il Sacro Velo della Vergine Maria fu custodito a Costantinopoli non oltre il 568, quando fu trasferito ad Imola nella Chiesa di Santa Maria in Regola come dono all’esarca Longino, il quale si sarebbe fatto carico della ricostruzione di questa chiesa proprio nel 568, per l’arrivo della reliquia. Leo Grammaticus, nella sua Chronographia, ci riporta la notizia che i bizantini credevano fermamente di possedere nel quartiere delle Blacherne il Velo della Santissima Madre di Dio. È sicuro, però, grazie alle eccellenti fotografie del velo procurate dal sacerdote Foschini, che il Maphorion di Maria si trovasse ad Imola già nel 568; pertanto i bizantini non si accorsero che il Sacro Velo non era più presso di loro, dal momento che l’idea di possedere la reliquia nel quartiere delle Blacherne spinse l’entusiasmo popolare a bloccare l’assedio avaro e persiano ai danni della città di Costantinopoli nel 626. Giorgio di Pisidia nel Bellum Avaricum riporta l’ardore del popolo bizantino per la sacra reliquia: “Se il pittore desiderava mostrare i trofei della battaglia,/ che raffiguri Colei che partorì senza seme/ e ne dipinga l’icona./ Perché lei sola sa sempre come vincere la natura,/ prima nel parto e poi in battaglia.” Attraverso questa importante reliquia, quindi, la capitale dell’ Impero Bizantino conferma ancora una volta, e in maniera più decisa, che la Vergine Maria protegge e custodisce, grazie al “potere” apotropaico e magico del suo velo, le mura della città, e, di conseguenza, il suo Santissimo Tempio alle Blacherne, sorto nelle prossimità di una sorgente miracolosa per volere dell’imperatrice Pulcheria nel 450. È interessante notare, infine, che a partire dal 944 alla reliquia mariana fu affiancata un’altrettanta importante reliquia cristica: il Mandylion di Cristo condotto a Costantinopoli dalla città di Edessa. Ancora una volta, quindi, si conferma la forte dipendenza cultuale tra la venerazione per la Vergine Maria e quella per Gesù Cristo. Le due reliquie furono portate insieme in gloria come difese contro tutti i nemici della cristianità. Tale evento è ricordato nelle illustrazioni dell’Inno Acatisto, composto secondo alcuni da Romano il Melode nel VI secolo, secondo altri dal patriarca Sergio durante l’assedio del 626 che riporta, in parte, la notizia della liberazione persiana di Edessa per volontà del Mandylion e quella di Costantinopoli grazie al Maphorion della Vergine Maria.

4. L'Icona di San Luca

L’icona della Madonna di San Luca, conservata nell’omonimo santuario di Bologna, appartiene al gruppo delle cosiddette immagini “Odighitrie”, nelle quali la Vergine Maria è sempre rappresentata a mezzo busto, con Gesù Bambino in braccio in atto benedicente. Secondo la tradizione tali icone sarebbero state copiate da un dipinto archetipo eseguito dalla mano dell’Evangelista Luca. L’epiteto di óδηγήτρια sembrerebbe derivare da un’icona della Vergine Maria anticamente conservata a Costantinopoli, nel monastero degli Odeghi (“coloro che indicano la strada; le guide”). Nell’interpretazione cristiana, infatti, assume il significato di “Colei che indica la via”, cioè, “mostra la direzione” verso Dio. Postea vero ammirabilis immago quae est figura Virginis Mariae voluntatis divina faciente in hac civitate perducta est per quendum virum sanctitatis plenus. Tunc tres fratres in illis temporibus in hac urbe manentes honorabiles multum nomine Tempulus, Servulus et Cervulus; qui fratres exilium missi a civitate Constantinopolitana, habitabant per consensum senioris Romae in loco qui vocabatur sanctae Agathae in Turri et in mandatis Dei devote viventes. Poi la meravigliosa immagine del ritratto della Vergine Maria fu portata, per volontà divina, in questa città da un uomo pieno di santità. Allora vivevano in questa città tre fratelli, degni di molto onore, che si chiamavano Tempulus, Servulus e Cervulus; questi fratelli, esiliati da Costantinopoli, abitavano per consenso del capo della comunità di Roma in un luogo chiamato Santa Agata in Torre, e vivevano rispettando le leggi di Dio. Dopo una serie di “avventure” ed eventi soprannaturali che videro protagonista l’icona della Vergine Maria in Oriente, come ci racconta dettagliatamente Nicolaus Maniacutius in Historia Imaginis Salvatoris, la leggenda vuole che il dipinto fosse stato portato a Bologna da un pellegrino greco, di nome Teocle, il quale, entrando nella Chiesa di S. Sofia a Costantinopoli nel 1150, vide un bellissimo ritratto della Vergine Maria con Gesù Bambino, sotto il quale c’era la scritta: “Questa tavola, dipinta da S. Luca, è da portare nella sua chiesa sul Monte della Guardia”. Teocle stesso si fece carico di portare il quadro sul Monte della Guardia a Bologna. Dati storici, invece, suggeriscono che l’icona di San Luca fosse giunta in Italia grazie ai numerosi pellegrinaggi compiuti in Oriente o grazie all’intervento di cittadini bolognesi alle Crociate durante il XII secolo. Il Cardinale Alfonso Paleotti, nel 1603, incoronò la Madonna di San Luca con una corona d’oro ricoperta di gemme. La seconda incoronazione avvenne il 10 giugno 1857 nella Cattedrale di San Pietro ad opera di Papa Pio IX, che donò la corona, la quale non sostituì affatto la precedente. Ancora oggi, infatti, le due corone decorano l’immagine. Dal 1625 il dipinto è ricoperto da una lastra d’ argento che lascia scoperti solo i volti di Maria e Gesù Bambino. Oggi il dipinto si trova conservato nella cappella maggiore del santuario a Lei dedicato, in un’apposita nicchia abbellita di marmi preziosi, gemme, perle, oro e argento. Secondo la consueta tradizione iconografica, la Santissima Vergine indossa una tunica blu-verde, sotto la quale ne sporge un’altra di colore rosso. I tratti del volto sono allungati e le dita della mano affusolate. Gesù Bambino, invece, ha la testa proporzionalmente più piccola rispetto al corpo, ha il braccio destro in atteggiamento benedicente, mentre la mano sinistra è chiusa a pugno; la tunica è naturalmente di colore rosso. Sullo sfondo del dipinto si notano filari di piccole foglie d’edera, inseriti l’uno nell’altro ed intervallati da piccole perle. La tavola è incorniciata lateralmente da due fasce di circa 4 cm decorate con motivi floreali, mentre la parte superiore risulta essere tagliata. Per comprendere pienamente il senso dell’icona, bisogna porre particolare attenzione alle mani: la mano di Maria indica Gesù facendo comprendere allo spettatore che deve ascoltare e seguire i suoi insegnamenti e le sue parole, poiché solo in questo modo potrà vivere il Vangelo di salvezza, ed è per questo motivo che è detta Vergine Odighitria proprio perché mostra la strada che conduce a Gesù. La mano di Gesù, invece, in atto benedicente, dona a chi guarda il quadro la sua grazia, cioè quella forza necessaria per mettere in pratica la sua parola. Interessante osservare che nella mano benedicente di Gesù risultano due gruppi di dita, uno di tre e l’altro di due che richiamano rispettivamente le tre persone della SS. Trinità e la natura umana e divina di Gesù e nello stesso tempo indicano che egli è la seconda persona della SS. Trinità. Altrettanto importanti sono, poi, i colori, come abbiamo detto più volte, che hanno una forte valenza simbolica, tanto che alcuni studiosi parlano di “Teologia del colore”. Il manto blu della Vergine Maria rimanda al colore della trascendenza, e richiama tutto ciò che è spirituale oltre al fatto che induce nello spettatore un senso di calma e serenità. Di fatti, secondo quanto emerge dall’Antico Testamento, era il sommo sacerdote, unico “autorizzato” al dialogo diretto con Dio, a vestire gli abiti di colore blu durante le celebrazioni e gli officia. Gesù Bambino ha addosso una veste rossa che simboleggia tanto il suo potere luminoso quanto il sacrificio della sua vita. La Madonna che oggi possiamo vedere nel dipinto non corrisponde in tutto all’immagine dipinta inizialmente sulla tavola di S. Luca, dal momento che risulta essere un parziale rifacimento di un’analoga e più antica pittura. Indagini radiografiche e stratigrafiche condotte nel 1991 confermano che al di sotto dell’immagine attuale ne esiste un’altra attribuibile alla scuola bizantina e di alta qualità stilistica e formale. Questa scoperta è stata un’importante acquisizione per la storia dell’immagine, poiché possiamo affermare, con quasi assoluta certezza, che essa è una vera e propria icona bizantina databile al X o XI secolo, ridipinta molto probabilmente in Italia fra il XII e il XIII secolo. Per questo motivo la storia di matrice bolognese, che vedrebbe l’icona della Madonna di S. Luca portata a Bologna da Costantinopoli, dalle recenti indagini scientifiche è stata pienamente confermata.

Bibliografia
AUGUGLIARO V., Reliquie della Vergine Maria; BIANCHINI G. M., Notizie istoriche intorno alla Sacratissima Cintola di Maria Vergine, che si conserva nella città di Prato (a cura di Giuseppe Manni), Firenze 1722, (1° edizione); BELTING H., La vera immagine di Cristo, trad it. Torino 2007; CARDINI F., Breve storia di Prato, Firenze 2006; CECCHETTI C., Mater Christi. La vita di Maria nella storia, nella leggenda, nella commemorazione liturgica, Parte II, vol. II, Roma 1954; DEGLI ESPOSTI C. (a cura di), Breve ma veridica storia della Madonna di San Luca, Bologna 2011; DE VITIS, DURANDO, LOCATELLI, MIARI, NEGRONI, CATACCHIO, L’arte e la storia dell’arte, vol. 1 a, Il mondo antico, Milano 2002; DORE J., sub voce Trinità, in Dictionnaire des Religiones (a cura di Jacques Vidal), Parigi 1984; LACUGNA C. M., sub voce Trinità, in Encyclopedia of Religion, vol 14, New York, Macmillan 2005; MATTHEWS V. H, BENJAMIN D. C., Old Testamen Pèarallels: Lows and Stories from Ancient Near East, Cambridge 1991; ROMPAZZO F., BATTAGLIA E., Il colore “sacramento” della Bellezza. La dimensione estetica della celebrazione liturgica, Padova 2003; RONCHEY S., BRACCINI T., Il romanzo di Costantinopoli. Guida alla Roma d’Oriente, Torino 2010.

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