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CONCILIO COSTANTINOPOLITANO I



1. Motivazioni del Concilio
Il secondo concilio ecumenico fu convocato dall'imperatore Teodosio I e venne celebrato nel palazzo imperiale di Costantinopoli tra il maggio e il luglio del 381. Vi presero parte circa 150 vescovi, tutti orientali. Lo scopo principale del concilio era il tentativo di dare una soluzione definitiva alla crisi ariana, che si era protratta pericolosamente anche dopo Nicea e che aveva visto i grandi Padri della seconda metà del IV secolo confrontarsi con tenaci eresiarchi del calibro di un Eunomio, al fine di ristabilire l'ortodossia. Un secondo obiettivo è stato quello di definire la divinità dello Spirito Santo, contestata e negata dagli pneumatomachi. L'ambiente costantinopolitano era tutto imbevuto di arianesimo; cosicché quando Gregorio Nazianzeno venne a Costantinopoli per prendersi spiritualmente cura della esigua comunità che si riuniva presso la chiesa dell'Anastasis, dovette constatare che questi pochi credenti erano l'unico gruppo che a Costantinopoli era rimasto fedele alla dottrina nicena, mentre tutto il resto della città seguiva gli insegnamenti dell'allora patriarca Evagrio, di fede ariana, probabilmente senza afferrare le distinzioni sostanziali che dividevano l'ortodossia dall'arianesimo. La nomina del Nazianzeno a patriarca nel 379, sembrava promettere una svolta in questa incresciosa situazione. Nel 381 fu convocato il concilio, allorché la dottrina ariana negli ultimi anni aveva dovuto subire le vigorose contestazioni di molti pastori orientali e in particolare di Basilio e Gregorio di Nissa, che hanno espressamente confutato gli insegnamenti dell'ariano Eunomio. Gregorio Nazianzeno mirava agli stessi obiettivi e si potrebbe ipotizzare che sia dovuto alla sua influenza l'inserimento nel credo costantinopolitano della menzione della Vergine santa. Tuttavia il Nazianzeno esercitò la funzione di patriarca soltanto un paio d'anni, giacché verso la fine del concilio, per cause storicamente ben note, decise di dimettersi dalla sede patriarcale e rientrò nella sua Cappadocia.

2. Il Credo Niceno-Costantinopolitano

Il concilio ha ripreso la professione di fede nicena e l'ha ritoccata con qualche breve aggiunta. Innanzitutto si è voluto rafforzare l'affermazione della piena divinità del Figlio, per cui negli articoli a lui dedicati si legge quanto segue: «Generato dal Padre prima di tutti i secoli; luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato non creato, per mezzo di lui tutte le cose sono state create». Seguono le altre dichiarazioni relative al mistero dell'Incarnazione e quindi anche alla sua generazione umana, ed è qui che esplicitamente appare il nome della sua Madre terrena: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, si incarnò per opera dello Spirito Santo e della Vergine Maria e si fece uomo». Come si può notare, rispetto al simbolo niceno, viene qui introdotta la menzione esplicita della donna scelta da Dio per la realizzazione del mistero dell'Incarnazione. Maria vi appare come soggetto operante, il cui intervento si colloca in diretto parallelo con quello dello Spirito Santo tramite l'unica preposizione εκ.

3. Inserimento del nome di Maria nel simbolo

La funzione generatrice di Maria, menzionata senza il nome di lei nella professione di fede di Nicea, viene qui ripetuta nominativamente ed anche qualificata con l'uso della preposizione εκ, che suona quasi come una condanna della teoria che proponeva un'origine celeste della carne di Cristo. A quel tempo l'errore, attribuito ad Apollinare di Laodicea, era già stato oggetto di confutazione da parte di diversi Padri della Chiesa. L'aggiunta mariana alla professione di fede appare di notevole importanza sul piano dottrinale e indicativa di ulteriori controversie che probabilmente circolavano con successi locali nella cristianità di allora e che riguardavano il ruolo della Vergine nell'Incarnazione.

4. Testimonianza di Gregorio Nazianzeno

Questa situazione dottrinale potrebbe essere testimoniata da una lettera dello stesso Nazianzeno, patriarca di Costantinopoli durante il concilio e dimissionario appena dopo. In detta lettera, indirizzata al sacerdote Cledonio, Gregorio fa un elenco di errori dottrinali e all'inizio della lista pronuncia quattro vigorosi anatemi contro anonimi, i quali interpretavano in senso decisamente eretico il ruolo di Maria nel mistero del Verbo Incarnato. Alcuni di questi eretici manifestamente rifiutavano la maternità divina di Maria e in particolare il termine theotokos che la definiva: «Se qualcuno non crede che santa Maria è madre di Dio (Theotokos), si separa dalla divinità». È significativo che in questo contesto Gregorio attribuisca al termine Theotokos il valore di una formula dogmatica, anticipando di mezzo secolo la solenne proclamazione del Concilio Efesino. Continua poi con un secondo anatema contro coloro i quali sostenevano che Cristo è solo passato per l'utero della Vergine come attraverso un canale: «Se qualcuno asserisce che Cristo è soltanto passato attraverso la Vergine come attraverso un canale, ma nega che egli sia stato plasmato dentro di lei in modo divino, perché senza intervento di uomo, e in modo umano, vale a dire secondo la legge del concepimento, è parimenti ateo». L'accento posto sul modo divino in cui è stato concepito il Verbo Incarnato depone in favore della maternità divina della Madre di lui. Il terzo anatema condanna coloro che asserivano come da Maria fosse nato un semplice uomo, il quale solo successivamente avrebbe assunto la natura divina: «Se qualcuno dice che dapprima si è formato l'uomo, il quale solo in seguito sarebbe stato rivestito della divinità, è condannato. Ciò infatti non sarebbe la generazione di Dio, ma la negazione della generazione stessa». Il quarto anatema si riferisce a coloro che, portando alle estreme conseguenze certe premesse della cristologia antiochena, sostenevano esservi due persone in Cristo: «Se uno introduce la nozione di due figli, uno da Dio Padre e l'altro dalla Madre, e non di un unico e identico Figlio, sia privato dell'adozione come figlio (cf. Ef 1,5), promessa a coloro che credono rettamente». Come si può facilmente osservare, siamo di fronte ad errori che circolavano comunemente nella cristianità di allora; e pertanto non sarebbe inopportuno ipotizzare che proprio il diffondersi di queste eresie abbiano indotto i Padri del concilio a precisare ulteriormente l'articolo niceno sull'Incarnazione introducendo il nome della Madre del Verbo Incarnato e la specificazione del suo ruolo e del suo stato verginale. Riteniamo che la testimonianza di Gregorio Nazianzeno sia particolarmente importante, per il fatto che egli stesso, come patriarca di Costantinopoli, è stato un protagonista autorevole e qualificato del concilio del 381. Queste circostanze contestuali e la stessa professione di fede niceno-costantinopolitana dimostrano che il ruolo di Maria, in quanto Madre verginale di Cristo, stava entrando sempre più diffusamente nella fede del popolo di Dio e che la Chiesa si sentiva premurosamente preoccupata di tutelarne l'ortodossia, contro certe deviazioni che inducevano in errore anche personalità di spicco nella cristianità di quel tempo, quali furono ad esempio, un Eunomio di Cizico o un Apollinare di Laodicea. La cristologia e, per conseguenza, la dottrina mariana dovranno fare ancora altri passi per raggiungere una formulazione conforme alle esigenze di una fede ben fondata sulla Scrittura.

Bibliografia

GAMBERO L., Riferimenti mariologici nei documenti dei primi quattro concili ecumenici, in Theotokos XII (2004), n. 1-2, pp. 3-23; ORTIZ DE URBÌNA, Nicée et Constantinople, Paris 1963, pp. 182-205. GREGORIO NAZIANZENO, Lettera 101 a Cledonio, PG 37, p. 177.

VEDI ANCHE:
- CONCILIO COSTANTINOPOLITANO II
- CONCILIO DI CALCEDONIA
- CONCILIO DI EFESO
- CONCILIO DI NICEA
- CONCILI ECUMENICI
- CONCILIO VATICANO II

 






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