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GESÚ DI NAZARETH



Un film di Franco Zeffirelli del 1976.

1. Il  film "Gesù di Nazareth"
La parte migliore di questo film, prodotto nel 1976, è, senza ombra di dubbio, la cura della fotografia. Una fotografia eccezionalmente costruita fino a diventare artificio che sacrifica la profondità morale e l'ampio respiro spirituale del testo evangelico a vantaggio della fruizione estetica. Il Gesù che ne viene fuori è chiaramente l'eroe della fiction: un personaggio che non delude il pubblico, caratterizzato superficialmente, piuttosto inoffensivo, misterioso al punto giusto, sentimentale, attrattivo, circondato da personalità ben caratterizzate ..., insomma un ideale domestico di Salvatore che ha ben poco a che fare con il Gesù dei Vangeli.

2. Maria nel film "Gesù di Nazareth"
Gli stessi parametri di riferimento vengono applicati a Maria. Ella rappresenta esteticamente quasi una idealizzazione della donna stessa. Un insieme di bellezza, purezza, giovinezza, semplicità ..., tratti difficilmente ritrovabili in una ragazzina qualsiasi della realtà quotidiana della Palestina di quel tempo, ma anche dei giorni nostri. In Zeffirelli le immagini comunicano autorità e realtà, attraverso un processo che è chiamato «di analogia visuale». Ciascuno di noi ha una sua storia di immagini che ci bombardano da quando siamo bambini, comprese le immagini sacre delle chiese o quelle più mondane di rappresentazione di temi, sacri, come per esempio le cartoline di Natale e Pasqua. Queste immagini sono state da noi rivestite di una certa autorità, proprio per la loro capacità di far pensare al sacro, di trasformare, di produrre conversione spirituale. Nel film Gesù di Nazareth, i vestiti, gli scenari, i gruppi di persone, la mimica facciale e corporale di ciascun personaggio, sono presentati con la piena consapevolezza del potere delle immagini della tradizione. Episodi e personaggi sono modellati seguendo gli schemi tradizionali dell'arte cristiana. Analogie visuali delle opere di Rembrant, Botticelli, Michelangelo, Raffaello ..., per indicare solo alcuni esempi, rivestono le scene che vediamo di un velo di autenticità, di accettazione della realtà, attraverso un processo di manipolazione incosciente e subliminale delle immagini. Basti pensare a come è costruita la scena del Magnificat.  Lo scopo di Zeffireffi è quello di rappresentare un Gesù che non sia troppo divino o troppo trascendentale e nello stesso tempo di eliminare quegli aspetti in cui emerge in modo preponderante la sua umanità. Lo stesso discorso il regista lo applica alla figura di Maria. La Maria delineata è quella dell'iconografia classica: un'immagine conosciuta e rassicurante, un'ideale di bellezza che non turba, ma che affascina per la sua semplicità e linearità, che è riconducibile a moduli ampiamente assorbiti dall'immaginario collettivo.

3. Distacco dal testo evangelico su Maria

Parte del materiale evangelico è poi alterato dal regista con una serie di aggiunte ed interpretazioni. Nella prima parte del film, quando si fa riferimento alla nascita e all'infanzia di Gesù, il tono è fin troppo calcato nella prospettiva domestica: così negli accordi per il matrimonio tra Maria e Giuseppe, nelle scene del matrimonio, nell'annunciazione. Nella scena del matrimonio tra Maria e Giuseppe, i partecipanti alla cerimonia non sono disposti in circolo, ma sono situati su una linea orizzontale con Maria, Giuseppe e il rabbino al centro, come se fossero in posizione per una fotografia di nozze. Maria regala a Giuseppe una collana e la gente che assiste approva. Uno dei partecipanti guarda direttamente nella telecamera e mormora parole di approvazione. Questo artificio, che interrompe il fluido svolgimento della storia per far partecipare il pubblico, è un espediente tipico delle telenovelas, che hanno come scopo quello di creare il coinvolgimento dello spettatore. Lo stesso espediente verrà poi ripreso nel corso del film molte volte. Le facce dei principali attori sono inquadrate in primo piano nei momenti cruciali e lo sguardo è diretto allo spettatore quasi a volerlo portare all'interno dell'azione cinematografica e a voler creare un legame da persona a persona. Nella scena che introduce per la prima volta nel film la figura di Maria, la Vergine è dietro il telaio. Si vede e non si vede, quasi a voler acuire la curiosità dello spettatore, per poi emergere in una immagine che è di fortissimo impatto estetico. Sembra quasi che il regista voglia subito evocare il fatto che Maria è «prescelta» per essere la Madre di Gesù. Lo sguardo dello spettatore è attirato dagli occhi di Maria, quasi a voler stabilire un legame indissolubile con lei. Mentre Maria si reca alla cerimonia del fidanzamento il regista introduce un'altra tecnica tipica del cinema d'azione: l'indurre un'aspettativa. L'annunciazione è pre-annunciata dalla scena in cui Maria, andando ad incontrare Giuseppe, sente una presenza dietro di lei e si guarda intorno, scrutando verso l'esterno del villaggio, mentre la folata di vento, che all'improvviso passa per la strada, rimanda già in qualche modo ad una presenza dello Spirito, che è inconsciamente intuita dallo spettatore, il quale ormai è già proiettato in una situazione di «attesa di qualcosa di importante per lo svolgimento della storia». Lo spettatore dopo questa scena sa già che qualcosa avverrà e sa già che Maria non è una giovinetta come le altre, ma che ha un ruolo da «protagonista» nel film. Ma nello stesso tempo, però, proprio per la riproposizione di uno dei canoni classici del cinema, è rassicurato. L'incarnazione non apre alla sottile inquietudine, che potrebbe nascere dall'irrompere della trascendenza nella dimensione umana e alla fatica dell'accettazione dell'incomprensibilità del mistero dell'amore divino, ma è ricondotto a livelli gestibili: quelli dei moduli tipici, che tutti siamo abituati a riconoscere nello svolgimento di un film. La protagonista, l'attesa del colpo di scena, il colpo di scena, la soluzione del problema da parte dell'eroina (spesso aiutata dall'eroe o da un amico), il ritorno ad una situazione di tranquillità e il proseguimento della storia. Nella scena dell'annunciazione il gioco di luci ed ombre vorrebbe creare l'idea del mistero, ma per non permettere che lo spettatore distolga la sua attenzione da ciò che sta vedendo, per interrogarsi su quanto di misterioso si sta verificando, interviene a sciogliere la tensione narrativa Anna, madre preoccupata, che si sveglia e interroga la figlia, riproponendo ancora una volta un modulo conosciuto e rassicurante. Apparentemente l'intervento di Anna vuole porsi come una ridondanza per ribadire il fatto che è accaduto qualcosa di strano; in realtà, l'attenzione si focalizza sulla madre preoccupata, con la conseguenza che lo spettatore non ha il tempo per assimilare pienamente la portata dell'evento dell'incarnazione. L'attenzione è troppo occupata a recepire per poter riflettere ed elaborare. In tutto questo contesto, Maria sembra quasi assumere un ruolo di passività. Sembra che si lasci coinvolgere e trascinare dagli avvenimenti stessi. La drammaticità del fiat è quasi assorbita e nascosta dall'ombra in cui la fanciulla è avvolta. Il regista vuole umanizzare Maria con la scena del parto, ma è proprio in questa scena che emerge la sua sensibilità e nello stesso tempo potremmo quasi dire il suo limite di uomo. Il dolore del parto è espresso attraverso torsioni del corpo e le espressioni di sofferenza del viso, ma si tratta di una sofferenza contenuta che in conclusione risulta quasi «composta». Ricorrendo poi a magistrali acrobazie cromatiche e scenografiche il regista arricchisce e connota fortemente la descrizione dell'ambiente, ma, nello stesso tempo, proprio la forte carica estetica di cui è sovrabbondante la scena della natività distoglie l'attenzione dello spettatore dall'incommensurabilità misteriosa dell'evento. Analogamente, sotto la croce, Maria soffre ed esprime il suo dolore, ma anche qui, con una compostezza di gesti, particolarmente ricercata. In definitiva, il testo biblico è manipolato dall'interpretazione di Zeffirelli, che vuole proporci il personaggio «evangelico» di Maria rivisto e rivisitato attraverso i suoi occhi. 

Bibliografia
CARNICELLA M. C.,  Incontro con Maria "per viam pulchritudinis" con il linguaggio del cinema, in Theotokos XIV (2006), n. 2., pp. 545-549; ID., Ridire "Credo in Gesù Cristo suo unico Figlio nostro • Signore" ... tramite il cinema, in Ricerche Teologiche XIV (2003) 1, pp. 165-175; BABIN P., La catechesi nell'era della comunicazione, Torino 1989; APOSTOLOS-CAPPADONA D., De Eva a la Virgen ..., in La nueva imagen del cine religioso, Salamanca 1998.

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