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TEMPIO DI DIO


Il tema «Maria tempio di Dio» trova la sua fondazione nel mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, dell’Uomo-Dio che, con la sua morte, ci redime e ci transita alla partecipazione della sua risurrezione e della sua gloria; e il collegamento con l’Eucaristia è dato dal simbolismo antropologico del tempio cristiano, che è il corpo mistico di Cristo; ora Maria con il suo fiat all’angelo dell’Annunciazione diventa il tempio del Verbo incarnato, la prefigurazione del corpo mistico e della Gerusalemme celeste costruita dal e per l’Agnello immolato. Ancora di più: il fiat di Maria contiene, come in una coppa, l’amen di Cristo al Padre; perciò mi sembra si possa dire che Maria si fa in qualche modo Croce per il suo stesso Figlio, come per addolcirne il sacrificio. La mia riflessione cerca di collegare Maria e la Gerusalemme celeste attraverso il simbolo e la funzione del tempio, poiché anche Maria, nel cui grembo il Verbo di Dio prende carne, è dimora di Dio e raccoglie tutti coloro che aderiscono al suo Cristo. Perciò dopo aver precisato il significato del tempio cristiano, passiamo a riflettere nella verginità di Maria e nella sua divina maternità.

1. Simbologia del tempio cristiano

Il tempio nasce dalla congiunzione della realtà umana con quella divina; ed è uno spazio delimitato, recintato (tevmeno": recinto sacro, tempio, santuario), entro il quale si realizzano ierofanie e teofanie. La de-limitazione dello spazio sacro è attuata dall’incontro-scontro tra la luce e la tenebra, tra l’ordine (kovsmo") e il disordine (cavo"), al limite tra l’essere e il nonessere; incontro-scontro, nel quale prevale sempre il positivo sul negativo; il tempio fa esistere quindi un principio cosmizzatore, che è dentro l’uomo poiché è l’uomo stesso che fa prevalere l’ordine sul disordine, con la sua stessa energia vitale che si oppone alla morte e a tutto ciò che ad essa conduce. Perciò esiste una profonda omologia tra tempio, uomo e cosmo; omologia che conferisce al tempio un valore simbolico antropologico e cosmico.

1.1. SIMBOLOGIA ANTROPOLOGICA DEL TEMPIO

C’è un’intrinseca relazione tra tempio e corpo, in continuità con quel modo di pensare antico che considerava il corpo umano un microcosmo; di questo abbiamo una limpida testimonianza nel trattato sull’Architettura di Vitruvio Pollione (1° sec. a. C.), per il quale «nessun tempio potrebbe avere una progettazione razionale senza simmetria e proporzione, senza cioè avere un esatto rapporto proporzionale con le membra di un corpo umano bene formato».1 In altre parole, qualsiasi edificio, e il tempio in modo particolare, deve essere come una realtà vivente (sicut animal aedificium, amava dire L. B. Alberti); e questo si ottiene mediante una perfetta corrispondenza, fra le dimensioni delle singole parti e tutto l’insieme della costruzione, analoga a quella che si vede nel corpo umano. Il tempio è il luogo del sacro e dell’intangibile, che non si può alterare o sporcare, in quanto è lo «spazio vitale» che l’uomo è riuscito a ordinare (o cosmizzare) in costante tensione verso il superamento di sé, verso la trascendenza o divinità; e la intangibilità del sacro è proprio la volontà umana di non perdere quello che ha già acquisito. Il tempio esprime questo tentativo di «coprirsi» con la divinità attraverso azioni, ripetute (riti) nel tempo, che riordinano lo spazio. Possiamo intuire facilmente questo fenomeno profondamente umano, se pensiamo al significato che spesso assume oggi una chiesa per un paese; attorno ad essa si svolge la vita ordinaria del popolo; talvolta è proprio nel piazzale della chiesa che si tengono il mercato e i raduni festosi; e questo non è profanazione, ma ricerca spontanea della copertura divina nella vita di tutti i giorni. Il tempio esprime quindi il cammino dell’uomo verso il divino; e la sua ricerca di Dio coincide con la ricerca di se stesso: il luogo del sacro è dentro l’uomo, anzi è l’uomo stesso, dal quale nasce il sacro, poi «recintato», ben protetto nello spazio (tempio) e nel tempo (calendario delle ritualità) e separato con cura da tutto il resto ritenuto estraneo o profano. Possiamo ora comprendere come il tempio cristiano, che assorbe la simbologia cosmica ed antropologica appena espressa, si trasformi in simbolo cosmico del corpo mistico del Cristo totale: infatti come nel singolo uomo il corpo è la dimora dell’anima, così nel Cristo, Uomo-Dio e Uomo tipologico, il corpo è la dimora della divinità; e di questo troviamo conferma nell’apostolo Paolo: «in Cristo dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità, cui pure noi possiamo avere parte» (Col 3, 9-10). Il tempio cristiano è la «tenda della presenza di Dio», un equivalente della tenda del convegno eretta dal popolo eletto nel deserto, coperta dalla nube della presenza di Dio; presenza che teneva lontano lo stesso Mosè, «il quale non poteva entrarvi mentre la nube dimorava su di essa e la tenda si riempiva della gloria del Signore» (Es 40, 35). Ora il tempio, simbolo cosmico della dimora di Dio tra gli uomini e del corpo glorioso di Cristo risorto, svolge una funzione analoga in mezzo al popolo dei credenti: su di esso c’è sempre la nube della presenza di Dio, e il nuovo Mosè, che è Cristo, vi entrò e vi rimane per sempre; ne segue che il tempio cristiano è il «corpo di Cristo », dell’Uomo-Dio che «ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Perciò l’incarnazione del Verbo di Dio trasfigura la precedente simbologia del tempio: l’edificio della chiesa cristiana non esprime più soltanto lo sforzo cosmizzatore dell’uomo ma anche, e soprattutto, la venuta di Dio all’uomo, la presenza attiva di un Dio che cerca l’uomo dentro la stessa ricerca che l’uomo fa di sé. Non più quindi il solo movimento dell’uomo che va a Dio, ma anche il movimento di Dio che viene all’uomo.

1.2. CENTRALITA' DELL'ALTARE NEL TEMPIO CRISTIANO

Nel tempio cristiano si con-centrano due movimenti, uno verticale e uno orizzontale, quello del Dio che viene (espresso dal cerchio e dalla cupola che spesso coprono il presbiterio) e quello dell’uomo che cammina, più o meno coscientemente, verso Dio (espresso dal quadrato o rettangolo che copre la navata). Questi due movimenti esprimono il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, la natura divina e umana di Cristo, e sono la causa di quella bellezza sublime che caratterizza le chiese cristiane. Il Verbo incarnato unisce Dio e l’uomo, il cielo e la terra; questa unione è come impressa nella forma della chiesa dove si legano insieme il presbiterio e la navata: il presbiterio è il luogo della presenza di Dio, dove si trovano l’altare (per presentare a Dio l’offerta), l’ambone (dove si proclama la parola di Dio) e la sede (dove siede colui che presiede in nome di Cristo la celebrazione dei divini misteri); la navata è il luogo dell’assemblea dei figli di Dio e discepoli di Cristo, che formano misticamente il suo Corpo, cioè la Chiesa non l’edificio ma la famiglia dei figli di Dio, e vivono da «figli di Dio guidati dal suo Spirito » (Rm 8, 14) orientati verso il «Seno del Padre» (Gv 1, 18). Il movimento verticale, che si esprime nel presbiterio e si concentra sull’altare, è tracciato dalla preghiera che sale e dalla benedizione divina che scende, attraverso la mediazione del Verbo incarnato di cui l’altare è appunto simbolo; il movimento orizzontale si esprime invece in costruzioni rettangolari con abside semicircolare, per significare il cammino del popolo che va a presentare a Dio i suoi doni e a ricevere da Lui i santi doni, nella comunione eucaristica con il Corpo e Sangue del Signore, ma anche nella celebrazione degli altri sacramenti. I due movimenti convergono simbolicamente nell’altare, la cui importanza è rilevabile in qualsiasi chiesa, però sembra più evidente in quelle a forma basilicale, in quanto questa forma riproduce la simbologia d’un corpo disteso. Nelle chiese a forma basilicale, l’altare è collocato nel punto che corrisponde al cuore, centro del tempio al suo interno e verso l’esterno: come la nuova Gerusalemme, di cui parla l’Apocalisse, è costruita attorno al trono di Dio e dell’Agnello, così la chiesa è tutta costruita attorno all’altare il cui significato è legato al culto dei martiri e dei santi e alla presenza del Crocifisso. È forte la somiglianza della chiesa con la Gerusalemme celeste, della quale l’autore ispirato scrive: «Non vidi alcun tempio in essa, perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna, perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (Ap 21, 22-23). Ora, dentro la chiesa, l’altare è simbolo del trono dell’Agnello, cioè del Cristo Redentore innalzato sulla Croce, contemplato e glorificato nella Gerusalemme celeste per la sua vittoria sul peccato e sulla morte. In passato spesso l’importanza dell’altare era sottolineata dal ciborio, che realizzava con l’altare un tempio nel tempio; oggi, dopo l’ultima riforma liturgica, l’altare è posto in grande evidenza nel presbiterio così da condizionare la collocazione dell’ambone, della sede del presidente e del tabernacolo. Perciò il sacerdote celebrante, all’inizio della liturgia eucaristica, prima ancora di salutare l’assemblea, bacia l’altare, come si trattasse dello stesso Signore assiso sul trono. Attorno all’altare si radunano i fedeli, i quali propriamente sono loro stessi il nuovo tempio, l’Ecclesia (che significa assemblea). In questa prospettiva si comprende che anche l’altare deve avere un equivalente nel cuore di ogni fedele, nell’interiorità della sua libera volontà in cui decide come spendere la propria vita: sull’altare del cuore ogni fedele offre in continuazione la sua volontà a Dio Padre ed accoglie da Lui il progetto d’amore che gli viene offerto ogni giorno. Questa disposizione interiore trasforma la celebrazione dei divini misteri in vera adorazione del Dio vivente, in Amore condiviso, nel Cristo e nei suoi discepoli: l’amore di Dio, che ci ama per primo, trova la nostra risposta d’amore, che dà senso e valore a tutta la nostra esistenza. Tutto questo si vive e si celebra insieme con gli altri, che condividono la nostra fede e speranza, nell’esercizio della medesima carità. Evidentemente, come la Gerusalemme celeste è l’immagine compiuta della beatitudine eterna, accessibile al di là del nostro tempo, l’edificio sacro della chiesa, per la presenza dell’altare, si carica d’una simbologia nuova ed universale, nel senso che diventa come il grembo di Dio dal quale gli uomini ricevono la vita eterna in e per Cristo. Il profano risulta così essere il profanato, un santo non riconosciuto, un disordine storico e non originario, che può essere quindi riordinato dall’Uomo-Dio, mediante la remissione dei peccati: Eucaristia e sacramento della Penitenza, altare e confessionale si congiungono ai piedi della Croce che tutto rinnova e rigenera. Possiamo allora concludere che l’edificio della chiesa è simbolo e dono della Gerusalemme celeste: la luce, la decorazione e l’armonia della costruzione la rendono, in qualche modo, presente agli occhi dei fedeli, come un compendio dell’intera storia della salvezza sempre attuale e operante, mediante la celebrazione dei divini misteri. Nella chiesa, non tanto il sacerdote, ma Cristo stesso ci attende per renderci sempre più suoi amici e fratelli tra di noi. Con ciò, mentre la chiesa nell’arte cristiana acquista sempre più i colori e i contorni della Gerusalemme celeste, nel cuore d’ogni credente, che partecipa alla Liturgia (che frequenta la chiesa), si attua lentamente una vita interiore sempre più solida e simile alla stessa vita del Cristo; e questa progressiva conformazione a Cristo rende la vita più vivibile, le gioie più profonde e più sicure, le sofferenze e i dolori più sopportabili.

2. Maria sempre vergine e "Hortus conclusus"

Sul fondamento biblico-teologico della verginità di Maria, prima durante e dopo il parto, il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 496-511) ci offre un quadro sintetico che può orientare la nostra adesione di mente e cuore al disegno salvifico di Dio, che per sua pura iniziativa fa germinare dal grembo verginale di Maria il nostro Redentore: «Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l’insieme della Rivelazione, le ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano tanto la Persona e la missione redentrice di Cristo, quanto l’accettazione di tale missione da parte di Maria in favore di tutti gli uomini» (n. 502). Leggiamo poi tre testi biblici che possono guidare le nostre riflessioni, per motivare la sovrapposizione tra Maria, sempre vergine, e il tempio inteso come dimora di Dio tra gli uomini. «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti» (Ml 3, 1). «Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà santo sarà dunque chiamato Figlio di Dio”»(Lc 1, 34-35). «Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1, 10-14). Due piccole riflessioni introduttive:
a) Maria diventa la madre dell’Unigenito di Dio mediante il suo fiat, il concepimento del Verbo di Dio nel suo grembo; e resta sempre la madre dell’Uomo-Dio, del Salvatore che redime con il suo sangue l’intera umanità e sigilla un’alleanza definitiva di Dio con l’uomo; l’ombra dello Spirito di Dio, che rende Maria madre del Redentore, rimane in lei, anche dopo la nascita di Gesù; possiamo quindi senza difficoltà considerare Maria l’Arca dell’Alleanza (e sembra sia questa l’idea che guida Luca nella stesura dell’Annunciazione e della Visitazione di Maria ad Elisabetta).
b) Colei che accoglie nel suo grembo il Figlio di Dio, che dà facoltà (ejxousiva) a tutti coloro che credono in lui di diventare figli di Dio, accoglie già anche tutti i suoi fratelli: la maternità verginale di Maria è il fondamento della sua maternità spirituale (nello Spirito) di tutta l’umanità redenta: Maria è madre di tutta la Chiesa, in quanto per lei è offerta la tenerezza del Padre che ci vuole tutti suoi figli nell’unico Figlio.

2.1. MARIA ACCOGLIE IL SIGNORE NEL SUO CORPO

È sorprendente come la liturgia frequentemente paragoni il corpo della vergine Maria al tempio nel quale entra il Signore della gloria. Si vedano i due esempi seguenti: «Veni, redemptor gentium»... Alvus tumescit Virginis – claustrum pudoris permanet – vexilla virtutum micant – versatur in templo Deus (Si gonfia il grembo della Vergine – resta chiusa la porta del pudore – brillano le insegne delle virtù – mentre scende Dio nel tempio), S. Ambrogio, Inno, in «Ufficio delle letture», Avvento II. Parafrasato in italiano con l’inno «Adoriamo il mistero»: Maria, piena di grazia, – intatta, sempre vergine, – è il tempio dell’Altissimo. «Verbum salutis omnium»... Haec est sacrati ianua – templi serata iugiter – soli tremendo Principi – pandens beata limina (Questa è la porta tutta chiusa del tempio santo, i cui battenti beati si aprono unicamente al tremendo Principe), Ignoto del 10° sec., Inno, ai «Vespri», Avvento II. Parafrasato in italiano con l’inno «Accogli nel tuo grembo»: Porta santa del tempio – intatta ed inviolabile – ti apri al re della gloria. Maria, come madre del Redentore, è colei nel quale si compie l’alleanza definitiva tra l’uomo e Dio: Maria attesta la vera e non fittizia incarnazione del Verbo di Dio; è la dimora dello Spirito santo, è il tempio non costruito da mani d’uomo, nel quale il Santo dei santi santifica tutti coloro che aderiscono a lui.

2.2. MARIA NUOVA GERUSALEMME

Se l’apostolo Paolo poteva parlare di una «Gerusalemme celeste, che è libera ed è nostra madre» (Gal 4, 26), a maggior ragione possiamo noi parlare di Maria come della Gerusalemme nuova, della nuova terra in cui tutti siamo nati, così che possiamo attribuire a Maria, per analogia, quello che «si dice di Sion: “l’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda”. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: “là costui è nato” » (Sal 87, 5-6). La liturgia nella solennità dell’Immacolata Concezione rivolge a Maria l’elogio fatto a Giuditta: «Tu gloria di Gerusalemme, tu letizia d’Israele, tu onore del nostro popolo» (Gdt 15, 9), poiché pure Maria è vittoriosa sul peccato e sulla morte, in virtù del Figlio che porta nel grembo; e non solo per sé, ma anche per noi. Senza forzatura possiamo marcare questa riflessione riconoscendo che Maria non è soltanto la figlia di Sion, ma è «la città santa, la nuova Gerusalemme, che scesa dal cielo è pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21, 2). Per lei si tergerà ogni lacrima dai nostri occhi; ed anche per noi non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno. Come per Cristo, anche per Maria siamo noi la sua gloria: per lei il dono di grazia è a noi più vicino, più facilmente fruibile; accogliendo il modello spirituale di Maria, possiamo più facilmente accogliere il dono della salvezza e della nostra trasfigurazione. Maria, donna spirituale, ci mostra come mettere a profitto i doni di Dio e come cristificare sempre più profondamente la nostra esistenza, fino a bruciare, come roveto ardente, del Fuoco dello Spirito Santo. In tal senso Maria diventa anche prefigurazione della Gerusalemme celeste, che è nostra madre: per questa via la maternità ecclesiale di Maria svela una dimensione nuova, che è la partecipazione e il compimento della maternità della Gerusalemme celeste.

Bibliografia
BABOLIN S., Maria, tempio di Dio, in AA. VV., Maria e l'Eucaristia, Centro di Cultura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 2000, pp. 237-246; FLORIAN G., Dell’Architettura di Vitruvio Pollione, traduzione e interpretazione, Giardini, Pisa 1978; GHARIB G., Le icone mariane, Città nuova, Roma 1987; HANI J., Le Symbolisme du temple chrétien, Trédaniel, Paris 1978; HEINZ-MOHR G., Lessico di iconografia cristiana, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1984; IVANOV V., Il grande libro delle icone russe, Paoline e Patriarcato di Mosca, Torino 1987; OUSPENSKY L., Théologie de l’icône dans l’Eglise orthodoxe, Cerf, Paris 1980; tr. it. RAVASI G., «La città si chiamerà JHWH SHAMMAH, là è il Signore!». Iconografia biblica della Gerusalemme celeste, in La Gerusalemme celeste, a cura di GATTI PERER M. L., Vita e Pensiero, Milano 1983; pp. 33-47; ROSSI M. - ROVETTA A. , Indagine sullo spazio ecclesiale immagine della Gerusalemme celeste, in La Gerusalemme celeste, cit., p. 77-118.






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