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CULTURA DI VITA


Nella società attuale si affrontano ogni giorno non solo come la vita e la morte, ma anche una "cultura di vita" e una "cultura di morte".

1. Bioetica e cultura di vita
Da varie parti si osserva il progresso compiuto dalla medicina, che nonostante la sua impotenza a debellare certe malattie del secolo, ha diminuito enormemente la mortalità infantile, ha evitato tante malformazioni mediante vaccini e cure preventive, ha operato sul cuore e ha trapiantato organi vitali. Per moralizzare le scoperte nel campo medico, impedendo il loro uso degenerante, è sorta una nuova disciplina: la bioetica, cioè «lo studio sistematico della condotta umana nell'area della scienza della vita e della cura della salute, in quanto questa condotta è esaminata alla luce dei valori e dei principi morali». Tale scienza si applica in modo particolare all'ingegneria genetica, che ha la capacità di «immettere nel circuito cellulare informazioni recate da geni, con l'intento di modificare il comportamento cellulare e la conseguente realtà personale». Si tratta di finalizzarla a «migliorare le condizioni di vita» (GS 34) e non ad un'arbitraria manipolazione del nucleo intimo e misterioso della struttura umana. Oggi, almeno nell'area della società industrializzata, non si tende più a vivere o a sopravvivere, ma ad una «qualità di vita» che garantisca lo sviluppo delle varie potenzialità dell'uomo fino a raggiungere il massimo livello possibile. Si assiste a gesti di generosità, da parte di religiosi e laici, per difendere la vita in zone del cosiddetto terzo mondo prive delle cure mediche essenziali. Nonostante tutti i progressi, rimangono ancora in una zona grigia l'inizio e il termine della vita umana: il momento dell'ominizzazione e quello della morte. Proprio in queste due fasi decisive si incuneano due comportamenti allarmanti: l'aborto e l'eutanasia. Entrambi sono da ritenersi disvalori, in quanto costituiscono un rifiuto della vita, dono del Signore. Essi appartengono ad una più vasta «cultura di morte», di cui sono gravissime espressioni «i gesti del terrorismo, della violenza, della delinquenza comune; le corse agli armamenti e il commercio spregiudicato delle armi; l'aggravata diffusione della droga; la persistente frequenza delle morti bianche; una sempre diffusa incoscienza nella circolazione stradale». Di fronte alla duplice cultura biofila e necrofila, i cristiani d'oggi non possono tergiversare come Ercole al bivio: essi sanno di dover percorrere il «sentiero della vita» proposto da Dio (Dt 30,15-16; Sal 16,11).

2. La Theotokos «immagine conduttrice» di vita

Per schierarsi a favore della vita, non giovano tanto le idee quanto i modelli che incarnano il valore della vita. La Theotokos rappresenta una viva «immagine conduttrice» verso la vita (P. Evdokimov). Nella figura di Maria gravida, soggetto di delicata interpretazione da parte di parecchi pittori, troviamo l'appello a considerare con sommo rispetto ogni donna incinta; [...} a favorire ogni iniziativa volta a tutelare la vita incipiente; ad essere vicini con comprensione e misericordia alle donne che per circostanze diverse.., sono tentate di adottare soluzioni di morte nei confronti del frutto che portano in grembo. Nella Vergine madre, che sorregge il Bambino in braccio, troviamo una donna che ha accettato responsabilmente la maternità, sebbene non rientrasse nel suo progetto personale (Lc 1,34). Il suo grembo è stato benedetto e reso fecondo per opera dello Spirito, a motivo della sua obbedienza alla Parola: «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio, [ ... ] benedetto sarà il frutto del tuo seno» (Dt 28,2.4). Dopo aver dato alla luce Cristo, vita del mondo, Maria ne protegge la vita avvolgendolo teneramente in fasce a Betlem (Le 2,7) e sottraendolo alla rabbia infanticida di Erode (Mt 2,13-15). Ella è giustamente salutata dai Padri «madre della vita» e «madre dei viventi». Non si può contemplare Maria e restare indifferenti di fronte ai diritti dei bambini. Infine nella Vergine presso la croce è personificato il tremendo dolore causato dall'ingiusta uccisione della vita umana: modello di identificazione per quanti piangono inconsolabili la morte violenta di un congiunto e monito supremo alla pietà degli uomini per il rispetto della vita. Nello stesso tempo la Mater dolorosa adempie alla funzione di «grande strumento pedagogico del nuovo ethos cristiano di fronte alla morte», e induce a superare il negativo integrandolo nel mistero della risurrezione del Signore, cioè in una morte che cancella la morte.

3. Icona della «Fonte viva»

Nel corso dei secoli si sono elaborati due simboli, tra gli altri, che manifestano il profondo legame di Maria con la vita. Innanzitutto l'icona dell'Odighitria (= guida indicante la via, cioè Cristo) che raffigura la Theotokos mentre mostra Cristo nelle vesti di legislatore e nell'atto di benedire. Maria orienta verso Cristo i fedeli che la contemplano. Cristo è il maestro che insegna richiamando al vangelo (egli tiene in mano un rotolo) e il sacerdote che benedice rendendo partecipi della sua vita. Il rapporto della Theotokos con la vita è esplicitato nell'icona della Zoodokos Peghé (= Fonte viva). Appartenente al tipo deIl'Odighitria, l'icona è così descritta dal monaco athonita Dionisio da Furnà: «Una piscina tutta d'oro e la Madre di Dio nel mezzo, con le mani tese in su e, dinanzi a lei, Cristo che benedice con ambo le mani e tiene sul petto l'evangelo che dice: «Io sono l'acqua viva», e due angeli che tengono con una mano una corona al di sopra della testa di lei e, con l'altra, cartigli che dicono, uno: «Salve, fonte immacolata e vivificante», e l'altro: «Salve, sorgente immacolata, che hai ricevuto Dio». E al di sotto del fonte battesimale una cisterna con acqua [ ... ] e patriarchi, prelati, sacerdoti, diaconi, re e regine, principi e gran dame, che si lavano e bevono con coppe e bicchieri». Il ricco significato teologico di questa icona consiste nel richiamo esplicito a Cristo Vita, che effonde sui fedeli l'acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4,14) mediante il battesimo, nonché l'acqua salutare che guarisce le infermità umane. In Cristo, che tiene in mano il vangelo, troviamo l'atteggiamento da assumere dinanzi alla vita. Gesù «ha dimostrato una sollecitudine senza riserve per le necessità della vita concreta di quanti incontrava e insieme una profonda e radicale relativizzazione dell'attaccamento umano alla vita stessa». Per Gesù «la vita vale più del cibo» (Mt 6,25), bisogna «salvare la vita» anche di sabato (Mc 3,4; Gv 5,17) ed osservare i comandamenti compreso quello di non uccidere (Lc 18,20). Ben più importanti però sono le realtà del regno di Dio e della vita eterna, che relativizzano anche i legami più protettivi della vita terrena, tra cui la famiglia (Mt 10,34-39). Gesù giunge all'affermazione paradossale: «Chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Egli dà l'esempio di quanto insegna perdendo la propria vita per salvare quella degli altri.

4. L'albero della vita

Piantato nel paradiso terrestre (Gn 2,9), «l'albero della vita» è simbolo di immortalità. Ma perché l'uomo ne possa beneficiare deve obbedire a Dio. Dopo il peccato ciò diviene possibile accedendo alla Sapienza, che è albero di vita (Pr 3,18), e definitivamente restando fedeli a Cristo: «Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (Ap 2,7; cf. 22,2.14.19). Ben presto l'immagine è trasferita alla croce, salutata da Ippolito di Roma (III sec.) come pianta immortale. Più tardi anche Maria viene raffigurata nell'annunciazione accanto all'albero della vita (tavolette d'avorio protocristiane) ed è chiamata giardino in cui è piantato l'albero della vita, oppure viene applicato a Maria il simbolo stesso dell'albero della vita: «La tua vocazione è di nutrirti con le parole divine e di saziartene, [ ... ] come un albero di vita che ha prodotto il suo frutto nel tempo assegnatogli, Dio incarnato, la vita eterna di tutti gli esseri». Questo simbolo trova le preferenze di s. Luigi Maria di Montfort, che lo applica oltre che alla croce anche a Maria: «Chi vuole avere il frutto di vita, deve avere l'albero di vita che è Maria». Con vivo senso d'inculturazione il missionario trasferisce il simbolo dell'albero di vita alla forma di spiritualità mariana da lui vissuta e insegnata: «Se lo Spirito santo ha piantato nella tua anima il vero albero della vita, cioè la devozione che ho appena spiegato, devi adoperare ogni cura per coltivarlo perché possa dare frutto a suo tempo». Il Montfort sviluppa questo simbolismo presentando alcuni esercizi ascetici indispensabili perché l'albero della vita produca il suo frutto «l'amabile e adorabile Gesù, colui che è sempre stato e sempre sarà l'unico frutto di Maria».In Maria dunque si condensa il richiamo alla vita nelle sue principali dimensioni: fisica e spirituale, terrena ed eterna. Da lei, nelle sue iconi, parte l'appello ad accogliere la vita nascente e proteggerla amorevolmente, ad onorare in se stessi la vita di grazia, cioè la comunione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito santo, a far prevalere nettamente la prospettiva di vita eterna sulla cultura di morte.

Bibliografia
DE FIORES S., Maria madre di Gesù. Sintesi storico-salvifica, EDB, Bologna 1992, pp.329-334; REICH W.T., Encyclopedia of Bioethics, I, Free Press, New York 1978; PONTIFICIA ACCADESDA DELLE SCIENZE, Dichiarazione circa il prolungamento artificiale della vita e la determinazione esatta del momento della morte, del 21.10.1985, in  EV 9/1767; SPINSANTI S., Vita fisica, in Corso di morale, a cura di GOFFI  T. - PIANA G., II: Diakonia (etica della persona), Queriniana, Brescia 1983; LECHNER G.M., Maria gravida. Zum Schwangerschaftsmotiv in der bildenden Kunst, SchnelllSteiner, München 1981; DE MARTINO E., Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Boringhieri, Torino 1975;  DIONISIO DA FURNÀ, Ermeneutica della pittura, Napoli 1971; GHARIB G., Le icone mariane. Storia e culto, Città Nuova, Roma 1987, pp. 208-213; ANGELINI F., Maria salus infirmorum nel mistero e nella storia della salvezza, Orizzonte medico, Roma 1970.






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