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MATURITÀ SPIRITUALE


Maria aiuta i fedeli ad assumersi le proprie responsabilità all’interno della comunità ecclesiale. Chiunque si pone la questione vocazionale, trova in lei un esempio di adesione al piano divino della salvezza nella disponibilità e nell’impegno. Quando il Vangelo afferma: "Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non può entrare in esso" (Mc 10,15) vuol dire che dobbiamo avere un cuore disponibile, ma non invita all’infantilismo, fenomeno regressivo che implica l’abdicazione della responsabilità. Per questo Paolo esorta: "Siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto a giudizi" (1 Cor 14,20). Non basta aver ricevuto il battesimo, né basta aver detto di sì a Dio all’inizio della vita cristiana. Questa esige un passaggio dalla condizione di bambini, imperfetti, ignoranti e carnali, allo stadio di adulti, perfetti, spirituali, maestri. Il NT invita a diventare persone sempre più mature, ad approfondire la rivelazione e comunicarla, a conformarci all’immagine di Cristo, a crescere nella fede e nell’amore (Col 1,28; Ef 3,12; 2 Cor 10,15; 1 Cor 14,1).

1. Maria e la questione vocazionale
In questa fase della maturità spirituale Maria aiuta i fedeli ad assumersi le proprie responsabilità all’interno della comunità ecclesiale. Chiunque si pone la questione vocazionale, trova in Maria un esempio di adesione al piano divino della salvezza nella disponibilità e nell’impegno. Nella crescita dell’amore sta la perfezione. "Io vi insegno una via migliore" – dice Paolo ( 1 Cor 12)– per indicare la via che è al di sopra di tutti gli altri carismi: la strada dell’amore, celebrato dall’inno paolino (1 Cor 13,1-13). La carità è la via regale della perfezione, perché "pieno compimento della legge è l’amore" (Rm 13,10). Qui si apre il discorso serio su Maria e la croce, appuntamento inevitabile per ogni cristiano che percorre un itinerario spirituale. Nella lettera apostolica Salvifici doloris (1984) Giovanni Paolo II sottolinea il "singolare apporto al Vangelo della sofferenza" offerto da Maria con l’intera sua vita e soprattutto con la sua presenza al Calvario presso la croce di Gesù (SD 25). Dieci anni dopo (1994) il Papa conia un’espressione riassuntiva e densa di significato: Maria "icona vivente del Vangelo della sofferenza". Per comprendere questo titolo dobbiamo essere convinti che esiste un "vangelo della sofferenza", cioè un lieto annuncio che il dolore sofferto per amore con Cristo diviene "dolore salvifico". Inoltre dobbiamo ricordare il significato della parola icona, che non indica una semplice immagine, ma "la visibile rappresentazione di spettacolo misterioso e soprannaturale" (Dionigi Areopagita) o "la visione delle cose che non si vedono" (Evdokimov). Maria è icona in quanto nella sua concretezza visibile contiene e rivela dei valori spirituali, nel nostro caso il dolore salvifico e la gloria definitiva. In lei si offre il duplice movimento, che ogni icona tende a trasmettere: la discesa e l’ascesa, l’antropologia di Dio e la teologia dell’uomo.

2. Maria e l’esperienza del dolore
La Madre di Gesù ha sperimentato il dolore, per grazia di Cristo lo ha trasformato in spazio di salvezza e infine lo ha superato con la sua assunzione al cielo. Bisogna tener conto di questa duplice dimensione terrena e celeste di Maria per capire come nella sua vicenda integrale di dolore e di gloria ella costituisca un vangelo della sofferenza per i fedeli di tutti i tempi. Il popolo cristiano, a partire dal XIV secolo, ha codificato i Sette dolori di Maria in riferimento a sette episodi evangelici: la profezia della spada (Lc 2,34-35), la fuga in Egitto (Mt 2,13-14), lo smarrimento di Gesù al tempio (Lc 2,43-50), l’incontro di Gesù sulla via del Calvario (Lc 23,26-27), la presenza di Maria sotto la croce (Gv 19,25-27), deposizione o pietà (Mt 27,57-59) e sepoltura di Gesù (Gv 19,40-42). L’esistenza di Maria è tutta segnata dalla sofferenza. Ella vive poveramente nella casa di Nazaret (Lc 1,48), partorisce l’atteso Messia nello squallore di una stalla a Betlehem (Lc 2,7), sperimenta la persecuzione in patria e i disagi dell’emigrante in terra d’Egitto (Mt 2,14), ritorna al lavoro nascosto e benedetto con Gesù e con Giuseppe (Mt 2,23; Lc 2,51). Tre passi biblici sottolineano l’aspetto afflittivo della vita di Maria e vi proiettano oscuri e tragici presagi: "E anche a te una spada trafiggerà l’anima" (Lc 2,35); "Angosciati ti cercavamo" (Lc 2,48); "Stava presso la croce di Gesù sua madre" (Gv 19,25). Tuttavia, come per Gesù, anche per Maria bisogna evitare la generalizzazione che dipinge la loro vita tutta "croce e martirio". L’esultanza nello Spirito è testimoniata per Gesù (Lc 10,21) e per Maria (Lc 1,47). Maria, figlia di Sion invitata alla gioia messianica (Lc 1,28), è da ritenersi coinvolta nella gioia della risurrezione al pari dei discepoli (Lc 24,41; Gv 20,20). Ciò spiega come nel medioevo si sia sviluppata anche la devozione alle Sette allegrezze di Maria. Circa la presenza di Maria sul Calvario, che è tra le più suggestive del vangelo, dobbiamo ammettere che Giovanni non si preoccupa minimamente di farci comprendere la situazione interiore della Madre di Gesù né di comunicarci il suo eventuale pianto. In questo senso ha ragione s. Ambrogio quando osserva: "Leggo che era presente, non leggo che piangeva". Infatti resta fuori della prospettiva giovannea offrire informazioni di ordine psicologico o di cronaca: egli mira al significato storico-salvifico. Ora proprio tale significato spiana la via alla comprensione del dolore della Vergine. Gesù dall’alto della croce indica chi è veramente Maria nella storia della salvezza, al di là di quanto può apparire agli occhi degli uomini: "Ecco tua Madre!" (Gv 19,27). Ora se Maria è madre del discepolo amato da Gesù, figura tipologica di tutti i cristiani che entrano nell’intimità con il Maestro, ciò significa che ella interviene nella nostra rinascita a figli di Dio: "Fu per noi madre nell’ordine della grazia" (LG 61) – esplicita il Concilio Vaticano II alla luce della tradizione ecclesiale. Qui entra in scena la profezia della donna partoriente che genera in un giorno il popolo di Dio (Is 66,7-8), cui Gesù si richiama quando descrive la partecipazione dei discepoli alla passione come un parto doloroso: "La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi ora siete nella tristezza..."(Gv 16,21-22). Ai piedi della croce Maria "è testimone, umanamente parlando, della completa smentita" della promessa di Gabriele: "Il suo regno non avrà fine" (Lc 1,33). Cristo è umiliato fino alla morte di croce (Fil 2,8), ma accetta in obbedienza al Padre questa morte trasformandola in spazio di salvezza universale. Maria si abbandona a Dio senza riserva e partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione. Con il suo mistico abbandono al Padre, ella trasforma il suo dolore in partecipazione al sacrificio d’amore compiuto da Cristo e quindi in luogo salvifico per sé e per l’intera umanità. Maria addolorata è pertanto icona del Vangelo della sofferenza, perché mostra come il dolore unito a quello di Cristo e offerto al Padre può diventare spazio di salvezza.

3. Maria assunta

Con l’Assunzione tale icona assume i connotati di un vangelo definitivo: si avvolge di splendore e diviene segno di sicura speranza del trionfo della vita sulla morte, della gioia sul dolore. Non bisogna separare l’Assunta dall’Addolorata, la sua vicenda terrena dalla sua condizione glorificata. Le due fasi sono collegate da una logica divina, che si manifesta nell’abbassamento-esaltazione. Questa legge storico-salvifica vale per il giusto dell’AT e per il servo di JHWH, che si umiliano accettando nella propria vita la volontà di Dio, comprese le sofferenze, e poi sono innalzati, trasferiti in cielo e glorificati (Is 52,13; 1Sam 2,8; Dn 7,27; Sap 4,10). Vale in modo eminente per Gesù, alla cui "autokenosi" fino alla morte di croce in obbedienza al Padre segue l’esaltazione come Signore universale (Fil 2,6-11; Eb 2,9). E vale anche per Maria, che nel Magnificat interpreta la sua vicenda come un passaggio da una condizione oscura di povertà ad un’importanza nella storia della salvezza, che ogni generazione dovrà riconoscere con il tributo della lode (Lc 1,48-49). Proprio perché ancella del Signore, unita a lui in modo unico nella sofferenza causata dalla malvagia opposizione degli uomini, Maria doveva partecipare alla risurrezione di Cristo, senza attendere la fine dei tempi. Questa convinzione si afferma nella Chiesa progressivamente: dagli elogi funebri sul sepolcro vuoto (II secolo) fino alla definizione dogmatica dell’Assunzione di Maria al cielo in corpo e anima (1° novembre 1950). L’Assunta si trova ormai presso Dio in una diversa situazione: pienamente redenta da Cristo, radicalmente trasformata dallo Spirito, interamente posta sotto la signoria del Padre. Come il Signore risorto e i corpi risuscitati (1Cor 15,35-50), Maria gode di quattro qualifiche determinanti: è incorruttibile in quanto vittoriosa della caducità mortale, gloriosa ossia dotata di splendore e di presenza salvifica nella storia, potente poiché lo Spirito santo la abilita ad opere taumaturgiche, spirituale a motivo della sua possibilità di trasmettere i doni di Dio. L’Assunta, non più soggetta alle leggi spazio-temporali, può ormai essere presente nel tempo e nello spazio in modo non circoscrivibile, ma misterioso. Ella può intercedere per noi, comunicarci i doni della salvezza ed esercitare per noi quella maternità nell’ordine della grazia proclamata da Cristo crocifisso.

Bibliografia

DE FIORES S., Maria e la maturità spirituale, in Madre di Dio, n. 10 - ottobre 2001; ROSSI DE GASPERIS F., Maria di Nazaret. Icona di Israele e della Chiesa, Edizioni Qiqajon - Comunità di Bose1997; ESQUARDA BIFET J., Spiritualità mariana della Chiesa. Esposizione sistematica, Centro di Cutlura Mariana "Madre della Chiesa", Roma 1994;  PIZZARELLI A., La presenza di Maria nella vita della Chiesa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1990.






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