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MARIA, MEMORIA DELLA CHIESA


1. Maria, memoria della Chiesa secondo Giovanni Paolo II
Il 1 gennaio 1987, nella celebrazione liturgica della solennità di Maria Madre di Dio, Giovanni Paolo II annunciava la celebrazione di un Anno Mariano. Nella sua omelia il Santo Padre afferma che la Chiesa, disponendosi a celebrare l'avvento del terzo millennio dell'era cristiana e volendo prepararsi meglio a quell'evento, volge il suo sguardo su Maria di Nazareth, «strumento provvidenziale di cui il Figlio di Dio si servì per divenire figlio dell'uomo e dare inizio ai tempi nuovi». Dalla Madre di Gesù, osserva il Papa, «dobbiamo imparare sempre più... come essere Chiesa in questo trapasso di millenni». E più avanti afferma: «Tu sei Memoria della Chiesa! La Chiesa impara da te, Maria, che essere Madre vuol dire essere viva Memoria, vuol dire "serbare e meditare nel cuore" le vicende degli uomini e dei popoli; le vicende gioiose e quelle dolorose».Ad una prima lettura si possono già rilevare alcuni importanti elementi:
- il contesto immediato dell'eulogio mariano è la celebrazione dell'Anno Mariano;
- il contesto più ampio è la celebrazione grata e colma di speranza dell'avvento del terzo millennio dell'era cristiana;
- l'asserzione riguardante la maternità della Chiesa in rapporto alla maternità della Vergine Maria;
- la memoria della Chiesa è congiunta al mistero della sua maternità e al suo itinerario nella storia, al quale si riferiscono il "trapasso di millenni" e le "vicende degli uomini e dei popoli";
- nel brano omiletico il termine «memoria», riferito alla Madre del Signore, è posto in evidente relazione con la duplice notazione evangelica di Lc 2,19.5lb.
Lo stesso Pontefice ha modo di tornare sull'eulogio mariano il 5 aprile 1987, durante il suo viaggio pastorale in Cile. Infatti, soffermandosi, durante l'omelia della celebrazione eucaristica in Concepcién sul significato dell'Anno Mariano, il Papa osserva: «Maria, "Memoria della Chiesa", ci prenderà per mano, per farci apprendere ciò che Ella ci insegna con la propria vita»."' La menzione si trova ora in un contesto meno solenne e più circoscritto dal punto di vista ecclesiale, lo scopo è immediatamente pastorale in quanto la Vergine viene proposta quale guida e modello dei cristiani. Un approfondimento cristologico dell'eulogio mariano si ha, invece, nelle parole conclusive che Giovanni Paolo II rivolge ai fedeli presenti alla celebrazione: «Conservo nel mio cuore le intenzioni di ciascuno di voi... Le tengo presenti nella mia preghiera, perché stiamo accanto a Maria ed Ella è, sempre ed in ogni parte del mondo, memoria del suo Figlio, del nostro Salvatore, memoria della Chiesa».

2. Fondamento biblico

L'eulogio di Giovanni Paolo II direttamente richiama i due diversi momenti del racconto evangelico di Luca, circa i primi anni di vita di Gesù. Alla luce e all'interno di tale evento cristologico, il ruolo personale di fede di Maria, che è determinante nella narrazione lucana, la rende tipo teologico e storico-salvifico, tanto che potremmo considerare i primi due capitoli lucani un commento a Gai 4,4 (Lc 1,25-38 e 2,5-16: «Venuto dalla donna»; Lc 2,22-24: «Venuto sotto la legge»). In essi la fede di Maria è posta in chiara evidenza (Lc 1,38), e la beatitudine che ne deriva è espressa da Elisabetta prima (Lc 1,45) e dalla stessa Vergine dopo (Lc 1,48). Se Maria è dunque per Luca la donna di fede, la discepola per eccellenza, la "credente" (Lc 1,45), la duplice notazione di 2,19.51b deve essere intesa proprio come momento del cammino di fede della Madre di Gesù. Se fede vuoi dire accogliere dinamicamente il Dio di Gesù Cristo nella propria vita e lasciarsi coinvolgere nel suo mistero di sofferenza, morte, resurrezione e gloria, Maria certamente è stata donna di fede. Nel passato, a volte, si è pensato a Maria come a colei che ha camminato nella visione, e invece a partire dal Concilio Vaticano II (cf. Lumen gentium, 58) e con l'enciclica Redemptoris Mater si parla ora più diffusamente di «peregrinazione della fede», nella quale la Serva del Signore avanzò, serbando fedelmente la sua unione con Cristo, figlio e servo di Dio (cf. Redemptoris Mater, 5). Maria nel suo itinerario teologale e spirituale ha sempre guardato al Figlio, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2): Gesù Cristo è il generatore, il principio, il fondamento, ma anche colui che porta a pienezza e a compimento la fede. Infatti, dalla Scrittura emerge che il modello di fede a noi più prossimo e vicino, più che Gesù, è Maria sua Madre. La sua vita storica è stata un eccezionale pellegrinaggio di fede, che l'ha resa straordinaria "testimone" del mistero di Cristo dall'infanzia alla croce e alla pentecoste; itinerario che si è sviluppato secondo il divenire pasquale di kenosis-glorificazione, già annunciato agli inizi dell'ingresso del Verbo nei mondo. Maria, secondo la testimonianza di Luca, conserva nel suo cuore le parole dell'Angelo (Lc 1,26-38), il saluto/macarisma di Elisabetta (11c 1,42.45), il suo stesso cantico di lode (Lc 1,46-55), le parole dei pastori (Lc 2,8-20), le profezie di Simeone e Anna (Lc 2,25-38), le parole dette dal Figlio nei Tempio di Gerusalemme (Lc 2,41-50)! Avvenimenti, persone, parole: tutto Maria "conserva e ripensa", confrontando ogni cosa, ricevendo sempre nuova luce, progredendo nella conoscenza del mistero del Figlio. Questo processo di comprensione, che avrà il suo culmine con l'evento della Pentecoste dello Spirito, non deve essere ridotto a puro fatto mnemonico. L'atteggiamento di Maria descritto dall'evangelista Luca non è dissimile dall'atteggiamento che la Scrittura riconosce proprio del «sapiente». Ella, la vergjne/anawim che compendia e riverbera la sapienza dell'antico Israele, «custodisce nell'animo quell'enigma, con silenzio riverente e attivo. Ella è protesa a decifrarne il senso; rimane aperta al mistero e se ne lascia coinvolgere». Dunque Maria unisce al ricordo l'intelligenza (di fede) degli eventi. Ciò equivale a riconoscerle il ruolo di prima discepola di quella Sapienza che per mezzo della sua diaconia materna dimora tra gli uomini, rendendo palpabile, percepibile e fruibile nella storia umana la prossimità e cordialità del Dio con noi.

3. Progressione e profondità della  fede di Maria

Se tutta l'economia salvifica dell'antico Patto è protesa al compimento nel Messia, ora alla "Figlia di Sion", Maria, è dato di «ricordare per approfondirà, per attualizzare, per interpretare. A mano a mano che il Figlio cresceva, poneva nuovi interrogativi all'occhio vigile della madre. In questo processo di crescita, è da supporre che Maria guardasse anche all'Antico Testamento, che ella manifesta di aver bene assimilato nel Magnificat: l'inno in cui la Vergine, a somiglianza dello scriba sapiente, "fa piovere i detti della sua sapienza e loda il Signore nella preghiera" (Sir 39,6)». Maria scruta riflette, interpreta nella fede. Ed è proprio attraverso la fede assolutamente teologale che Maria viene introdotta nella novità radicale dell'autorivelazione di Dio, venendo nel contempo resa consapevole del Mistero che le si spalanca, in modo assolutamente singolare, dinanzi (cf. RedemptorisMater, 17). L'oggetto del suo ricordo e del confronto incessante, finalmente chiaro per il dono dello Spirito, altro non è se non l'unità di due proposizioni: "Egli, Gesù, è il Figlio di Dio" e "Egli, Gesù, è tuo Figlio". Ella, afferma Romano Guardini, è la sola che può «pensare insieme le due proposizioni..., senza venir meno nel farlo, e senza nemmeno subire confusione e sconcerto. Anzi, ella riconosce in questa unità l'inscindibile contenuto della sua vocazione». Anche la Serva di Nazareth, posta dinanzi al mistero del Figlio e ascoltandone la parola, non di rado è stata colta dalla sorpresa, dal turbamento. Il progetto divino è più grande dei suoi pensieri (cf. Lc 2,50). Ed è appunto in questa situazione apofatica di disagio che Maria - con Giuseppe - rivela l'indole sapienziale della sua formazione umana, teologale e spirituale. Pur non comprendendo non rinuncia a curvarsi nella perseverante meditazione/esegesi del mistero cristologico. Sono a questo proposito calzanti le riflessioni che Giovanni Paolo II dettava per la preghiera dell'Angelus di domenica 22 gennaio 1984: «Luca non teme di far notare la difficoltà ed anche la non comprensione, da parte di Maria e di Giuseppe, delle parole e del mistero del Figlio. L"incomprensione" di Maria, di Giuseppe e, in genere, dei discepoli è, evidentemente, ben diversa dall'incredulità di quanti non hanno fede in Gesù. Si tratta della difficoltà di penetrare a fondo, e subito, nell'insondabile profondità della persona e del mistero di Cristo. Ma è una "incomprensione" momentanea, che porta alla riflessione, alla meditazione, all'atteggiamento sapienziale, così caratteristico della Madre di Gesù, che custodiva e confrontava parole ed eventi nel suo cuore (cf. Lc 2,19.51)... Fede grande, quella di Maria, fede sofferta e beata: è la fede di coloro che pur non avendo visto hanno creduto (cf. Gv 20,29)». L'atteggiamento sapienziale di Maria, il suo memorare ed il suo riflettere, la sua difficoltà a penetrare l'insondabile ricchezza e profondità dell'evento cristologico - evento che aveva pur contribuito a realizzare colla sua maternità divina - costituiscono un unico atto di contemplazione del Mistero. Ella scruta con l'occhio del cuore e della mente il mistero stesso di Dio che, vale la pena di ricordare, è il "Dio che si dà" e non il "Dio in sé". Il "Dio in sé" Maria di Nazareth lo ha conosciuto progressivamente, come progressivamente è cresciuta nella fede, attenta anche lei all'insegnamento degli Apostoli ma nello stesso tempo fonte di informazione e viva memoria per la stessa comunità dei discepoli del Nazareno.

4. Come Maria, così la Chiesa!

Da ciò deriva un "magistero" della Madre del Signore, ovverosia un trasmettere alla Chiesa gli eventi impressi nella sua memoria, conservati nel suo cuore di madre, scrutati con la fede della discepola, confrontati con l'insegnamento degli Apostoli, resi chiari dal kerigma delle origini e dall'azione dello Spirito del Figlio Risorto. Osserva a tale proposito il grande teologo von Balthasar (†1988): «Soltanto in cielo capiremo che cosa la Chiesa deve a Maria quanto a intelligenza della fede, e lo capiranno i "semplici" più ancora dei "prudenti e sapienti"... Proprio perché Maria sulla terra è stata così contemplativa, può essere in cielo così attiva, cioè rende partecipe la Chiesa della ricchezza della sua memoria. Già solo perché ella mostra se stessa, ci introduce nel mistero di ciò che la Chiesa è nella sua essenza: una pura opera di grazia di Dio». Come Maria, così la Chiesa! Cosa vuol dire allora per la Chiesa "conservare e ripensare nel cuore"? Il cuore della Chiesa è propriamente il suo mistero. Anzi, è, se così si può dire, l'intimità stessa del suo mistero, ciò che sfugge al dato esteriore che pure è necessario al mistero in quanto propter homines. La Chiesa deve innanzitutto scrutare questo suo stesso mistero per comprendere meglio la sua natura, vocazione e missione nella storia umana, che dalla «pienezza del tempo» (Gal 4,4) è divenuta, nonostante i bruta facta a noi non ignoti, nel Figlio dell'Altissimo e della Vergine, storia di Dio e luogo privilegiato di salvezza. In secondo luogo la Chiesa deve scrutare e comprendere sempre meglio il depositum che le è stato affidato (cf. 1 Tm 6,20; 2 Tm 1, 12.14), imitando in ciò la Serva del Signore e sua icona, nella consapevolezza che questa tradizione venerabilissima ed apostolica progredisce con l'assistenza dello Spirito di verità: «cresce infatti la comprensione - afferma il Concilio Vaticano II -, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cf. Lc 2,19 e 51), sia con l'esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità» (Dei Verbum, 8). Con lo stesso sguardo attento, in ragione del suo essere nella storia ed in virtù di ciò che deriva dal suo fine primario, la Chiesa deve "scrutare i segni dei tempi" per confrontarli con il progetto divino di salvezza e con quanto il Paraclito suscita nel cuore e nelle menti dei credenti, come degli uomini di buona volontà. Per questo la Chiesa deve anche riconoscere e comprendere «tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno: soprattutto l'evoluzione verso l'unità, il processo di una sana socializzazione e consociazione civile ed economica. Promuovere l'unità corrisponde infatti alla intima missione della Chiesa» (Gaudium et spes, 42). Missione a cui non deve sentirsi estranea la teologia, posta di fronte al compito di una contemporaneità che esige la consapevole responsabilità e partecipazione alla storia e alla cultura dell'uomo e della donna d'oggi. Infatti, ci ricorda lo scomparso cardinale Y. Congar (†1995), "l'umanesimo" della teologia esige l'attenzione al mondo e all'uomo sino al punto di accettare come naturale, ovvio, che «oggi è il mondo che detta alla teologia i temi da affrontare». Si comprende ora perché nella sua omelia del l gennaio 1987, papa Giovanni Paolo II abbia fatto riferimento alle vicende dei popoli. Per il Santo Padre la Chiesa deve imparare da Maria che essere madre significa anche conservare e meditare nel cuore le vicende degli uomini e dei popoli. Vivendo questa sollecitudine, inscritta nella cattolicità stessa della Chiesa (cf. Slavorum apostoli, 19), il Popolo di Dio imita la carità della Madre di Gesù (cf. Lumen gentium, 64). Ecco dunque che l'esemplarità della Vergine di Nazareth parla al mistero e alla missione pastorale della Chiesa ed indica l'atteggiamento necessario nell'assolvere il suo ministero fra e per gli uomini: essere «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1).

Bibliografia

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VEDI ANCHE:
 - CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
 - COMPENDIO DEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
 - MADRE CON LA CHIESA
 - MADRE DELLA CHIESA
 - MADRE NELLA CHIESA
 - MADRE PER LA CHIESA
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