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MARIA E IL SUO TEMPO: FAMIGLIA E USANZE FAMILIARI


1. Preparazione e celebrazione del matrimonio
Al sommo delle aspirazioni degli Ebrei stava l'ideale della famiglia; i giovani erano severamente tenuti al matrimonio, i figli erano segno di benedizione e la più grande consolazione era di vedersi circondati da una schiera di figli e vedere i figli dei propri figli; la mancanza di prole era invece considerata come una vergogna (Luc. 1, 25 : la nascita del Battista toglie « la vergogna» della sterile Elisabetta). L'ideale della verginità era perciò ben lontano dalle tendenze, anche religiose, di quel popolo; benché in questo senso non manchino indici di un nuovo orientamento: la Bibbia parla con rispetto delle vedove che non passano a seconde nozze; si comprendeva come certi personaggi, dedicati a una speciale missione religiosa, rinunciassero alla vita di matrimonio, come il profeta Geremia e, per il periodo evangelico, S. Giovanni Battista; inoltre la setta religiosa degli Esseni, che nel I secolo contava, a sentir Giuseppe Flavio, 4.000 adepti, professava il celibato. Era perciò concepibile per lo meno che anche una donna, per motivi religiosi, decidesse di abbracciare lo stato di verginità. La formazione di un nucleo familiare passava per tre fasi successive: la domanda, il fidanzamento e lo sposalizio. Secondo il Talmud l'età di contrarre matrimonio era per la ragazza i 12 anni compiuti, per i giovani i 18 ; questi però attendevano normalmente il 18° anno. Poiché il matrimonio costituiva un vero affare per le due famiglie, erano i capo-famiglia, e non i due giovani, a concluderne le pratiche; mentre il padre del giovane, cui spettava rivolgere la domanda alla famiglia della ragazza, cercava di ottenere una buona dote — che per  i poveri consisteva in oggetti di casa e vestiario, ma per i ricchi in terreni, bestiame, schiavi, danaro — il padre della ragazza si sforzava di far salire la cifra che il giovane si impegnava a pagare in futuro in caso di divorzio. Tuttavia la Mishna esige che si chieda il consenso della donna. Concluso «l'affare» si celebrava il fidanzamento, che normalmente precedeva di un anno (ma anche di più o di meno) la vera celebrazione delle nozze e l'inizio della coabitazione. Il contratto si stendeva spesso per iscritto, se no erano richiesti testimoni. Ma il fidanzamento non era presso gli Ebrei una semplice promessa di matrimonio; aveva tutto il valore e le conseguenze giuridiche del matrimonio stesso, i fidanzati erano considerati veri «marito e moglie e (cosi Maria e Giuseppe: Luc. 1, 27; Matt. 1, 20); correvano tra di essi gli stessi rapporti giuridici che tra coniugati e di fatto anche le relazioni matrimoniali; la fidanzata acquistava automaticamente tutti i diritti civili e familiari del fidanzato, era tenuta alla fedeltà come una coniugata, e se mancava subiva la morte come adultera; se il fidanzato moriva prima delle nozze era considerata vedova. Il fidanzato da parte sua non poteva lasciarla se non con la procedura giuridica del divorzio, dandole, come un marito alla moglie, il « libello di ripudio». Trascorso il tempo del fidanzamento, durante il quale la giovane aveva ultimato i suoi preparativi, giungeva finalmente la celebrazione delle nozze. Benché il matrimonio avesse una profonda importanza sociale e morale, nella celebrazione, per quanto sappiamo, non si svolgevano particolari funzioni religiose. le solennità essenziali della celebrazione, che preferibilmente si svolgeva al mercoledì, erano il corteo e il banchetto nuziale. Alla sera di quel giorno il fidanzato, inghirlandato e accompagnato dagli amici (Matt. 9, 15), si recava alla casa della fidanzata, che l'attendeva con le sue amiche (Matt. 25, 1-13: le vergini savie e le stolte), e, in solenne corteo, tra musiche, danze, canti, alla luce delle fiaccole e delle lanterne (Matt. 25, 1), la conduceva alla propria casa. Ivi, col banchetto nuziale, iniziavano i festeggiamenti, che ordinariamente duravano una settimana. Al banchetto (Matt. 22, 1-4; Giov. 2, 1 ss.), che ogni sera si ripeteva durante la settimana, la sposa assisteva adorna e inghirlandata (Apoc. 21,2); vi partecipavano molti invitati (Luc. 14, 8; Giov. 2, 2), ognuno dei quali doveva contribuire con doni (oggetti d'uso, alimenti e sopratutto vino, vesti, ecc.) alle spese dei festeggiamenti. Sopraintendeva alla festa, badando ai cibi e alle bevande, coadiuvato dai servi e dalle donne, il «capo del banchetto» (Giov. 2, 9); il suo incarico principale era di annacquare il vino. Alle donne era affidata la preparazione dei cibi, i servi mescevano il vino e distribuivano le vivande. Vitelle famiglie povere gli uomini della parentela si assumevano l'incarico del servizio.

2. La vita giornaliera della famiglia
Il marito era il capo della famiglia, con autorità massima su moglie e figli (non poteva però disporre della loro vita, come presso altri popoli). La moglie, pur sotto l'autorità del marito, godeva in famiglia di una posizione di riguardo, manteneva il possesso dei beni recati con sé, dei quali il marito non aveva che l'usufrutto; le era affidata la direzione dell'economia domestica, e i figli le dovevano rispetto e obbedienza come al padre. La giornata della donna era piena di occupazioni : curare l'ordine e la pulizia della casa, disporre ogni sera le stuoie per il riposo notturno; attingere al mattino presto alla fonte locale il quantitativo d'acqua necessario per gli usi domestici; macinare il grano, impastare la farina, cuocere il pane; preparare i due pasti quotidiani, e al venerdì anche quelli più abbondanti del sabato; nei momenti di libertà, andare in cerca di combustibile; metter le olive sotto sale, i fichi e l'uva a seccare per l'inverno; filare la lana e il lino, tessere la stoffa e ricavarne gli abiti; accomodare quelli usati, fare il bucato settimanale. Gli uomini intanto erano occupati dal loro lavoro. I principali mestieri esercitati dall'uomo, noti già dall'Antico Testamento, erano quelli dei fornai, lavandai, tessitori, vasai, fonditori di metalli, fabbri, falegnami, muratori, imbianchini; oltre ai lavori dei campi, alla coltivazione della vite e dell'olivo, per ottenerne il vino e l'olio, e all'allevamento del bestiame, soprattutto ovini (pecore e capre). Il lavoro manuale era tenuto in grande onore, e i Rabbini, che pur essi lo esercitavano, inculcavano essere dovere del padre insegnare ai figli un mestiere. Il compito più delicato e importante della donna rimaneva l'allevamento dei figli. Le figlie erano affidate alla guida materna fino al matrimonio, ricevendone l'educazione religiosa, civile e familiare loro adatta; i figli invece, dopo i primi anni, passavano sotto la guida del padre, che era tenuto a impartir loro le rudimentali istruzioni religiose, di scrittura e lettura, e infine del mestiere.

3. Allevamento, educazione dei figli, circoncisione e purificazione
Benché l'insegnamento pubblico non fosse in Palestina organizzato, non mancavano scuole; a Gerusalemme servivano i porticati del Tempio, ove gli allievi ascoltavano assisi per terra il Dottore della Legge seduto in cattedra (Luc. 2, 46 ; Atti, 22, 8). Compiuto il 18° anno, il giovanetto era tenuto a tutte le osservanze religiose, ma si cominciava ad abituarlo anche prima (Luc. 2, 42) ; solo alla fine del 20° anno acquistava piena capacità giuridica; col matrimonio aveva termine la patria potestas. All'ottavo giorno dalla nascita ogni Israelita maschio subiva il rito religioso della circoncisione, segno dell'alleanza tra Dio e il popolo eletto, che si celebrava in casa, sia pure di Sabato (Giov. 7, 22); poteva essere eseguito da qualunque israelita, anche donna; abitualmente dal padre, in circostanze eccezionali dalla madre. In quella, occasione veniva imposto il nome (Luc. 1, 59), generalmente dal padre, ma anche dalla madre (Luc. 1, 31), o dai parenti (ib., 1, 59) ; la decisione però spettava sempre al padre (ib. 1, 62). Poiché nell'antichità il nome veniva imposto alla nascita, possiamo supporre che per le bambine, che non sottostavano al rito della circoncisione, si continuasse così. Nel termine di 40 o 80 giorni dopo il parto (secondo se era nato un maschietto o una bimba) la madre era tenuta al rito della Purificazione; doveva cioè offrire in sacrificio un agnello d'un anno e un colombo (i poveri un paio di colombi o di tortore : Luc. 2, 24). Se il maschietto era il primogenito, doveva esser riscattato mediante il versamento della somma, non indifferente allora per un lavoratore, di 5 sicli (corrispondente, per un operaio, a circa il guadagno di un mese).

4. Poligamia, divorzio, riposo giornaliero

La Legge non proibiva la poligamia, spesso praticata in antico dagli Ebrei; ma sembra che dopo l'Esilio e al tempo evangelico fosse di regola la monogamia. Anche il divorzio era giuridicamente ammesso; in tal caso il marito doveva rilasciare alla donna il «libello di ripudio» (dichiarazione di divorzio: Matt. 19, 3 ss.) ed era tenuto non solo a restituire la dote, ma anche a versare alla ripudiata una somma stabilita già prima delle nozze: saggia disposizione per impedire l'eccessiva facilità del divorzio. Poiché diversi erano i criteri per riconoscere all'uomo questo diritto: mentre la scuola di Shammai esigeva che fosse intervenuta da parte della donna una colpa impura, per la scuola di Hillel erano sufficienti motivi lievi. Dopo l'Esilio si dava anche il caso che fosse una donna a ripudiare il marito (Marc. 10, 12; I Cor. 7, 10). Gesù dichiarò illecito il divorzio e abrogò la legge che lo legittimava (Matt. 5, 31 s; Luc. 16, 18 ; Matt. 19, 3-10; Marc. 10, 2-12). Era osservata al tempo di Gesù anche la pratica del «levirato»: quando un
uomo moriva senza figli, il fratello ne sposava la moglie onde procurare al morto una discendenza. L'adulterio, provato in giudizio, condannava a morte entrambi i colpevoli. Le vedove, per la precaria condizione in cui spesso venivano a trovarsi, erano particolarmente tutelate dalla Legge : portavano una veste speciale, avevano diritto a parte delle decime che si distribuivano ai poveri, e potevano indisturbate spigolare nei campi. Oltre ai Sabati e alle festività religiose, in famiglia si celebravano con solennità eventi lieti, come la nascita, la circoncisione, il divezzamento di un bimbo, il matrimonio, la mietitura dei campi e la tosatura dei greggi; anche l'arrivo di un ospite era una festa di famiglia. Antichissimi saluti, usati nel Nuovo Testamento e comuni ancora in Oriente, sono : « la pace sia con te», o «va in pace». Finiti i lavori giornalieri, alle porte delle città o dei villaggi, i popolani trovavano un frequentato luogo di ritrovo, ove si scambiavano le notizie più aggiornate, si concludevano contratti, si regolavano questioni di ogni genere, con la possibilità di trovare facilmente testimoni.

5. Morte e sepoltura
Alla morte di un membro della famiglia, un parente o un amico gli chiudeva gli occhi e la bocca, lo si lavava (Atti: 9, 37), lo si ungeva (Giov. 12, 7), lo si avvolgeva, in un bianco lenzuolo di lino (Matt. 27, 59) in cui si ponevano aromi (Giov. 12, 39 s.) che si usava anche bruciare presso il morto; le mani e i piedi venivano avvolti in bende e il capo in un sudario (Giov. 11, 44). Parrebbe innaturale a un figlio dell'Oriente un lutto silenzioso. Allora veniva espresso con alti lamenti, grida, e altre manifestazioni esterne, come lo stracciarsi gli abiti, battersi il petto (Matt. 11, 17; Luc. 8, 52; Apoc. 18,9), portare abiti di lutto (grossolani tessuti di pelo), ricoprirsi il volto, porsi cenere e polvere sul capo, digiunare e uscire a piedi scalzi; talune di queste manifestazioni erano allora in uso anche presso altri popoli, come i Romani. Attorno al defunto i familiari e gli amici alzavano il lamento, ponendo in risalto le buone qualità dello scomparso, la perdita dolorosa; questi lamenti, in uso fin dall'antichità, finirono col prendere forme obbligate e tradizionali (come i nostri annunzi mortuari), senza per questo denotare minor sincerità; inoltre, ogni lutto e funerale, anche dei più poveri, doveva esser seguito da piagnoni o prefiche, gente che per mestiere e a pagamento alzavano lamenti funebri. Talora le nenie dei lamenti erano alternate con melodi di flauto (Matt. 9, 23). Il Nuovo Testamento ci ricorda il lamento alzato per la morte della piccola figlia di Giairo (Matt. 9, 23; Marc. 5, 38; Luc. 8,52), e di S. Stefano (Atti 8, 2). A differenza di altri popoli, gli Ebrei, come in genere gli Orientali, praticavano la sepoltura, mentre la cremazione era considerata un disonore e un delitto. In ragione del clima caldo, il defunto veniva seppellito il giorno stesso e poche ore dopo il trapasso (Matt. 27, 57-60), come ancora oggi in Oriente. Bare propriamente dette non erano conosciute; veniva portato alla tomba su una barella (Luc. 7,14) retta da amici o parenti; chiunque incontrava un corteo funebre si faceva un dovere di accompagnarlo per un tratto di strada. Le tombe potevano essere o fosse (Luc. 11,44), come da noi, o piccole e basse camere scavate nella roccia (Matt. 27, 60; Luc. 23, 53), che venivano chiuse da una pietra pesante e rotonda fatta rotolare sull'apertura. Ogni primavera, terminata la stagione delle piogge, le pietre che coprivano o chiudevano le tombe venivano imbiancate con calce (Matt. 28, 27) perché fossero bene in vista ed evitassero il contatto impuro agli Israeliti. Si usava elevare tombe monumentali in onore dei grandi personaggi degni di ricordo (Matt. 23, 29 ss.), ed erano frequenti anche le tombe di famiglia; ma per i poveri e gli stranieri vi erano dei luoghi di sepoltura comune o cimiteri (Matt. 27, 7) situati fuori dei villaggi (Matt. 8,28). I partecipanti al duolo venivano poi invitati al banchetto funebre; il lutto durava sette giorni. Si alzavano anche preghiere per la salvezza del defunto (II Macc. 12, 43). Come presso tutti i popoli, anche presso gli Israeliti al tempo evangelico era in vigore la schiavitù, ma in forma assai mite.

Bibliografia

LACONI M., Usi e costumi palestinesi al tempo di Maria, in AA. VV:, Enciclopedia mariana Theotócos, Bevilacqua&Solari Edizioni - Editrice Massimo, Genova - Milano 1954, pp. 127-132;  FELTEN G., Storia dei tempi del Nuovo Testamento, vol I: La storia politica degli Ebrei dal 53 a.C. al 135 d.C., S.E.I., Torino 1932 - vol II: Le condizioni sociali e morali del popolo ebreo ai tempi del Nuovo Testamento, S.E.I., Torino 1934; KALT E., Archeologia biblica. - Torino, Marietti 1942; WILLAM F. M., Vita di Maria, la madre di Geù, Brescia, Morcelliana 1944; NÖTSCHER, Biblische Altertumskunde., Bonn 1940; RICIOTTI G., Storia d'Israele. Vol. II: Dall'Esilio al 135 d.C., S.E.I., Torino 1934; FILLION L. CL., Histoire d'Israel. T. III: De la fin de la captivité de Babylone à la ruine de l'état juif., Letuzeq, Paris 1928; BEL F. M., Histoire de la Palestine depuis la conquete d'Alexandre jusq'a l'invasion arabe. T. I: De la conquête d'Alexandre jusqu'à la guerre juive., J. Gabalda , Paris1952; SCHÜRER E., Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitaiter Jesu Christi, Leipzig, 1901-1911; DELLA LIBERA V., Maria nella sua terra, Edizioni Paoline, Milano 1986; SPILA A., La vita di Maria, Istituto Salesiamo Pio XI, Roma 1987.

VEDI ANCHE:
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