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ISAIA 7,14


 «Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele»

Il secondo grande testo relativo alla Madre del Messia, dopo la Genesi, lo troviamo nel rotolo del profeta Isaia: perfettamente inserita nella corrente teologica del messianismo regale e davidico, questa preziosa perla letteraria è legata in profondità agli eventi storici che hanno segnato la vicenda del regno di Giuda e del profeta stesso. Non la si può quindi considerare come se fosse un frammento autonomo; è invece opportuno collocare con la maggior precisione possibile tale oracolo nel suo ambito storico e nel suo contesto letterario.

1 Il contesto storico e letterario
Uomo di corte, di grande cultura e probabilmente di grande potere, Isaia opera a Gerusalemme tra il 740 e il 701 a.C., durante il regno di Jotam (740-736), Acaz (736-716) ed Ezechia (716-687). La sua produzione letteraria è stata raccolta, insieme ad altro materiale, nei capp. 1-39 del rotolo che porta il suo nome, continuato in seguito da tutta una scuola di discepoli che al grande maestro si ispirò per secoli. I testi nati durante la prima fase della sua attività sono stati raccolti dai redattori in una unità letteraria ben organizzata, che comprende i capp. 5-11 ed è comunemente chiamata "Libretto dell'Emmanuele". All'interno di questa fondamentale antologia isaiana si trova l'oracolo che interessa la nostra ricerca. Il versetto 7,14 è compreso in una narrazione a carattere storico che presenta, in terza persona, azioni e parole del profeta. L'unità letteraria (7,1-17) può essere facilmente suddivisa in tre parti strettamente connesse fra di loro: ad un inquadramento storico degli eventi (7,1-2) fa seguito un oracolo, parte in prosa parte in poesia, che il Signore affida al profeta per Acaz (7,3-8) e poi un altro oracolo, in prosa, che Isaia rivolge allo stesso re e nella stessa circostanza, ma in un successivo incontro (7,9-17). La situazione storica in cui questi oracoli sono collocati è la guerra cosiddetta "siro-efraimita": si tratta di una campagna contro il regno Giuda mossa dagli alleati Pechak, re di Israele, e Rezin, re di Aram. Di fronte alla pericolosa minaccia del potente re assiro Tiglat Pileser III (Tukulti-apil-Esarra) i piccoli regni siro-palestinesi volevano organizzare una coalizione di opposizione antiassira, ma il re di Giuda si rifiutò di collaborare. Per rappresaglia, dunque, le forze congiunte di Damasco e di Samaria assalirono Gerusalemme e la cinsero d'assedio: secondo il preambolo storico di Is 7,1-2 questa impresa mirava ad abbattere la dinastia davidica e sostituire il re Acaz con un certo figlio di Tabeèl (Is 7,6), probabilmente un arameo della corte di Damasco. La vicenda politica e militare mette in pericolo soprattutto la continuità della Casa di Davide: il Discendente di Davide, legittimo re secondo il divino oracolo di Natan, rischia di essere sostituito da uno straniero qualsiasi. I teologi di corte, difensori della regalità sacra, guardano con preoccupazione agli eventi e cercano di scoprire la volontà di Dio nei tempestosi frangenti di quell'anno 733. Forse ad aggravare la situazione era venuto il fatto che il re Acaz aveva sacrificato, secondo la prassi religiosa cananea, suo figlio: in questo modo l'assenza di un erede poteva davvero offrire speranza di successo agli aggressori e ingenerare disperazione nei fedeli di Gerusalemme.

2. Il testo dell’oracolo (Is 7,14)
In questo frangente Isaia parla al re Acaz e gli si rivolge in quanto rappresentante della Casa di Davide, portatore della promessa fatta da Dio al primo re di Giuda: l'oracolo profetico mira, dunque, a confermare la fiducia nella divina protezione riservata alla discendenza davidica e si iscrive, quindi, perfettamente nell'ottica della teologia messianico-regale iniziata ai tempi dello Yahwista. Leggiamo il testo completo dell'oracolo (Is 7,13-16), secondo una traduzione più letterale possibile dall'ebraico: "(13) Ascoltate, Casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? (14) Pertanto il Signore stesso vi darà un segno: Ecco, la giovane (è) concepente e generante un figlio e chiamerà (?) il suo nome «`Immanu-El». (15) Panna e miele mangerà fino ad imparare a rigettare il male e scegliere il bene. (16) Perché, prima che il ragazzo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonata la terra di cui temi i due re. (17) Il Signore manderà su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Efraim si staccò da Giuda". Tutto il testo è incentrato sull'immagine di un segno ('"t) offerto da Dio per confermare la sua protezione su Gerusalemme e la dinastia davidica: l'interpretazione dell'oracolo, quindi, dipende dall'interpretazione del segno. Non necessariamente questo segno deve essere miracoloso; esso ha la funzione precipua di dimostrare che il profeta ha ragione, cioè che la fede nella protezione divina è ben riposta. Nel preciso contesto storico in cui l'oracolo è pronunciato il segno richiede di essere facilmente verificabile dai destinatari delle parole profetiche; non può quindi trattarsi di una promessa inerente un lontano futuro. Se non si isola il v.14, ma si considera tutto l'insieme, appare chiaro che il segno consiste nella nascita di un bambino (per la mentalità biblica evento positivo per eccellenza) e nella rapida e felice risoluzione della presente difficoltà dinastica: per la Casa di Davide è promesso un benessere come non c'era più stato dai tempi di Salomone e per "i due avanzi di tizzoni fumanti" (Is 7,4) il fallimento e la rovina. Tali eventi, proclama il profeta come prova della sua fede, si realizzeranno prima che questo bambino abbia raggiunto l'età di ragione. L'oracolo, nel suo insieme, è rivolto al re Acaz, ma nel testo compaiono altri personaggi non ben identificati: una donna e un bambino. Del bambino, termine di confronto per le parole di speranza rivolte dal profeta al pauroso re, si dice che mangerà panna e miele finché non giunga all'età di ragione, mentre la donna è presentata in quanto madre di questo bambino; un unico elemento verbale è incerto, perché la tradizione testuale non è sicura. Si tratta del verbo "chiamare" nel v.14b. Il testo consonantico ebraico (qr't) è stato vocalizzato dai masoreti come una forma verbale Qal qatal alla 2a persona femminile singolare (qara't), mentre è senza dubbio preferibile, mantenendo inalterate le consonanti, vocalizzare come 2a persona maschile (qara'ta), giacché il "tu" destinatario non è la donna, ma il re; oppure leggere un participio femminile (qore't) perfettamente corrispondente alle due precedenti forme verbali: nel primo caso avremmo l'invito al re di porre il nome "Emmanuele" al bambino che sta per nascere, mentre nel secondo si descriverebbe un'ulteriore azione della donna che "concepisce, partorisce e dà il nome" al bambino.

3. La questione della «vergine» madre
Il punto centrale dell'oracolo è, in ogni caso, la figura della donna che il profeta indica come la madre di questo significativo fanciullo: eppure tale figura femminile non è assolutamente descritta né presentata; viene solo evocata con il termine `almah. Il punto di partenza dev'essere dunque la ricerca del significato preciso di questo termine che, abitualmente, nel presente contesto viene tradotto vergine. Lo stesso termine ricorre altrove nella Bibbia ebraica solo otto volte: passiamo quindi in rassegna queste ricorrenze per aver chiarimenti sul valore di tale importante vocabolo. Nel Salmo 46(45),1 compare nel titolo con la formula `al `alamot, indicando verosimilmente un modo musicale o una melodia di riferimento a noi ignoti. La stessa formula ritorna in 1Cr 15,20 e sembra indicare un modo musicale adoperato per suonare l'arpa da alcuni leviti: è tradotto in sordina, ma il senso preciso dell'espressione ci sfugge. In Es 2,8 è chiamata `almah la giovane sorella di Mosè, quando si dice: "la fanciulla andò a chiamare la madre...". Nel Sal 68(67),26 il termine ricorre nella descrizione di una solenne processione liturgica: "Precedono i cantori, seguono ultimi i citaredi, in mezzo le fanciulle che battono i cembali". Nel Cantico dei Cantici la parola in questione ritorna due volte. All'inizio, nella presentazione-elogio dello sposo si dice di lui: "Profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano" (Ct 1,3). Nel corpo del poema, poi, volendo lo sposo sottolineare l'unicità della sua colomba, enumera per contrasto le donne dell'harem salomonico: "Sessanta sono le regine, ottanta le altre spose, le fanciulle senza numero" (Ct 6,8). Al termine del libro dei Proverbi, in una serie di detti numerici, vengono elencate quattro realtà misteriose e difficilmente comprensibili: "il sentiero dell'aquila nel cielo, il sentiero del serpente sulla roccia, il sentiero della nave in alto mare, il sentiero dell'uomo in una giovane" (Pr 30,19). Tutto converge sulla quarta realtà, presentata però in modo oscuro: si può trattare del misterioso fenomeno dell'innamoramento o dell'inspiegabile processo di formazione del feto nel seno di una donna. L'ultima ricorrenza del nostro termine è reperibile in Gen 24,43 dove compare in bocca ad Eliezer, il quale rivolge al Signore una preghiera per essere in grado di identificare "la giovane che uscirà ad attingere" come futura sposa di Isacco. In tutti questi casi il vocabolo `almah non è mai adoperato con il significato di vergine in senso stretto; a parte i primi due casi non chiari, il termine indica sempre una giovane donna; in alcuni casi è chiaro il riferimento alla relazione nuziale, ma senza riferimenti che mettano in risalto le caratteristiche della verginità. Se aggiungiamo alcuni esempi tratti dalla letteratura ugaritica, il dossier linguistico può essere ancora più significativo, giacché la lingua ugaritica è strettamente vicina all'ebraico ed il termine ugaritico "glmt" è l'immediato corrispondente di `almah. Nell'epopea del re Kuriti, ad esempio, dopo che costui ha conquistato la fanciulla Huraja, gli viene indirizzato il seguente oracolo d'augurio: "La donna che tu prendesti, o principe Kuriti, la donna che tu prendesti nella tua casa, la fanciulla (glmt) che portasti a casa tua, ti partorirà sette figli e ne metterà al mondo un ottavo". Così nel racconto del matrimonio tra Jaris e Nikkal compare un versetto molto simile a Is 7,14: "Ecco la fanciulla ti partorisce un figlio (hl glmt tld bn)". Sembra quindi doveroso tradurre anche nell'oracolo isaiano il termine `almah con un vocabolo generico del tipo "giovane donna", giacché è assente in esso lo specifico riferimento alla verginità, contenuto invece nel vocabolo "bet–lah". Chiarito questo, non ci resta da compiere se non l'ultimo passo, cioè quello interpretativo, nel tentativo di identificare questa giovane donna presentata con l'articolo determinativo e senza altra specificazione: chi è dunque la `almah ed il suo figlio Emmanuele?

4. L’identificazione della «vergine» madre
Alcune interpretazioni, sporadicamente sostenute, non sono comunemente accettate. Alcuni pensano che il bambino sarebbe da identificare con l'insieme dei nascituri al tempo di Acaz e quindi la donna dell'oracolo sarebbe ogni madre in Israele; altri, invece, vedono nel bambino un terzo figlio del profeta portatore di un ulteriore simbolico nome e quindi la giovane donna sarebbe la moglie di Isaia. Una lettura troppo intrisa di principi della storia delle religioni ha voluto vedere dietro i personaggi dell'oracolo le figure di uno "hieròs gamos"; mentre un'esegesi più simbolica ha creduto di riconoscere nella `almah l'immagine del popolo di Israele che genera il resto santo. L'insieme dell'oracolo e l'intero contesto letterario del Libretto dell'Emmanuele fanno propendere per vedere nel bambino annunziato una figura regale, un discendente di Davide: di conseguenza la giovane donna evocata sarebbe la madre del futuro re, colei che per il momento è solo una delle mogli del re, ma un giorno sarà la Gran Dama di corte. Nel preciso frangente storico della guerra siro-efraimita del 733 a.C. sembra, dunque, che il profeta faccia riferimento alla nascita di un figlio al re Acaz come segno dell'intervento divino a favore della Casa di Davide, mentre Rezin di Damasco e Pechak di Samaria vogliono porre fine alla dinastia regnante. Isaia annuncia questa nascita come un segno ed invita Acaz ad accoglierla come segno: da parte sua il re, quindi, dia a suo figlio un nome simbolico, lo chiami "Dio-con-noi", a riprova della sua fiducia nella fedeltà di Dio. Di fatto, però, nessuno porterà il nome di Emmanuele; ad Acaz nasce un figlio nell'inverno 733/732, ma gli impone il nome di Ezechia; sua madre è Abia, figlia di Zaccaria. L'oracolo di Isaia, inteso in questo modo, non perde affatto il suo valore; anzi, inserito nel contesto culturale della riflessione messianico-regale e nella drammatica situazione storica della fine dell'VIII secolo, esso assume un notevole valore teologico come garanzia dell'intervento salvifico di Dio nella storia del suo popolo: la nascita di un discendente di Davide sarà il segno della salvezza ed il ruolo della `almah sarà significativo proprio in quanto Regina-Madre. Anche se nato in un preciso contesto storico, tuttavia l'oracolo non fu dimenticato, né semplicemente ancorato a quei fatti passati: proprio perché Isaia aveva visto giusto e le sue parole di fiducia erano state confermate dagli avvenimenti, i discepoli del profeta conservarono con devozione i testi del maestro e tramandarono nel tempo i suoi oracoli. Nel corso dei secoli, in nuove contingenze storiche, altri discepoli leggono l'antico oracolo in un'altra prospettiva e, lentamente, il segno della nascita di un figlio viene interpretato come una profezia direttamente messianica e quindi assume con facilità i colori del meraviglioso e dello straordinario. In questa linea la giovane donna diventa la vergine ed il segno si sposta sulla straordinarietà della nascita. La traduzione dei LXX rende infatti l'ebraico `almah con il greco parth‚nos (vergine) e traduce i due participi ebraici (concepente e generante), indicativi di un evento imminente, con due forme future (concepirà e partorirà), proiettando così l'evento in un futuro imprecisato. La scelta del termine parth‚nos ha precisato notevolmente il vago senso del termine ebraico, anche se non è ancora esclusivo il significato di verginità in senso stretto. Fra il silenzio della tradizione giudaica antica, compare altamente significativa l'interpretazione dell'evangelista Matteo, il quale, dopo aver presentato la nascita verginale di Gesù (Mt 1,18-21), riporta secondo il genere letterario del pesher una citazione biblica che trova conferma e realizzazione nell'evento appena descritto: "Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiameranno Emmanuele»" (Mt 1,22-23). Il processo ermeneutico sembra sufficientemente chiaro: non esiste una esplicita tradizione giudaica che attenda un Messia figlio di una vergine; non è quindi la lettura di Isaia che ha fatto nascere la notizia del parto verginale, bensì esattamente il contrario. È stato proprio il fatto della nascita straordinaria di Gesù che ha permesso alla comunità cristiana di comprendere in senso forte e pieno il significato dell'oracolo di Isaia 7,14: solo adesso si può parlare di profezia messianica diretta; retroiettare tale visione al tempo del profeta significa far violenza alla dinamica storica della rivelazione e dell'ermeneutica. All'interpretazione cristiana reagirono i traduttori giudaici del II secolo d.C.: Aquila, Simmaco e Teodozione, infatti, traducono `almah con neƒnis (giovane donna) e rendono i due participi ebraici con indicativi presenti. In questo modo vogliono eliminare dal testo il fondamento per l'esegesi cristiana. Il più antico testimone dell'interpretazione messianica dell'oracolo di Isaia e della applicazione delle sue parole alla madre di Gesù, ovviamente dopo il testo matteano, è l'apologista Giustino: nel Dialogo con Trifone egli ritorna più volte su questo oracolo, insiste sulla necessità di una lettura cristologica e polemizza con l'esegesi rabbinica che lo legge solo in relazione ad Ezechia. Dopo di lui la tradizione cristiana è stata unanime nell'interpretazione mariana di questo versetto; le precisazioni storico-critiche elaborate dagli esegeti moderni non contraddicono né cancellano tale interpretazione, solo la collocano al punto terminale di un complesso processo storico ed ermeneutico.

Bibliografia
DOGLIO C, Donne bibliche. Figure femminili nella Sacra Scrittura, dal sito http://www.atma-o-jibon.org/italiano/don_doglio16.htm; DE LA POTTERIE I., Maria nel mistero dell'alleanza, Genova 1988; CAZELLES H., "La Mère du Roi-Messie dans l'Ancien Testament", in Maria et Ecclesia 5 (1959) pp. 39-56; GOTTWALD N. K., "Immanuel as the Prophet's Son", in: Vetus Testamentum 8 (1958) pp. 36-47; LAURENTIN R., I Vangeli dell'infanzia di Cristo. La verità del Natale al di là dei miti, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1989; AA. VV., Maria nel Nuovo Testamento, Cittadella Editrice, Roma 1985; CASILLO P., La Madonna nel Vecchio testamento, Casa Mariana, Frigento 1988; AA. VV., Maria secondo le Scritture, in Theotokos, VIII (2000) n. 2.; SERRA A., La presenza e la funzione della Madre del Messia nell’A.T. Principi per la ricerca e applicazioni, in Dizionario di spiritualità biblico – patristica, 40 (2005), pp. 101-109; MANELLI S. M., Mariologia biblica, Casa Mariana Editrice, Frigento 1989. GARCIA PARADES J. C. R., Maria nella comunità del regno. Sintesi di Mariologia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997; ROTA G., Note di Mariologia ad usum auditorum, Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, Milano, Anno accademico 2012-2013; RAVASI G., Maria. La madre di Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo 2015, pp. 55-66.


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- ANTICO TESTAMENTO
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- PROTOVANGELO






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