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MARIOLOGIA AFRICANA


1. La mariologia  inculturata

Nel clima post-conciliare del pluralismo teologico e dei rapporti tra vangelo e cultura (GS 58), si prende coscienza progressivamente della legittimità e urgenza di teologie autoctone, oltre che dell'evangelizzazione acculturata ai diversi popoli. Alla teologia europea si aggiunge la «teologia africana» (termine lanciato a Kinshasa nel1960 da F. Tshibangu), seguita alla fine degli anni '60 da quella latinoamericana, mentre si profilano analoghi tentativi nelle varie culture del continente asiatico. Il sorgere di queste teologie legate ad un contesto socio-culturale influisce sul modo di percepire e presentare la figura della Madre di Gesù da parte delle comunità cristiane al di fuori dell'Europa. Nel periodo pre-conciliare (e anche dopo il Concilio Vaticano II) non sono mancati gli studi su Maria e le missioni cattoliche. Basti ricordare i volumi IV e V di Maria {Etudes sur la Sainte Vierge, sous la direction d'H. du Manoir), dedicati al «culto mariano nei diversi paesi del mondo». I singoli saggi raccolgono in genere i dati riguardanti Maria nella storia e nella devozione delle varie zone o continenti; ma non manca talora l'attenzione all'antropologia e ai valori dei popoli come punto di inserzione del discorso su Maria.

2. L’inserimento di Maria nella cultura africana
Il primo tentativo di impostare in termini nuovi l'inserimento teologico di Maria nella cultura africana è dovuto alla sensibilità di R. Laurentin nell'articolo Mary and african Theology. L'autore è cosciente della posizione contestabile in cui si trova, dovendo trattare di una cultura diversa dalla propria: si presenta perciò come teologo francese, che diventa studente alla scoperta di nuovi orizzonti. Laurentin traccia innanzitutto le «condizioni per l'elaborazione di una teologia africana su Maria»: fedeltà alla rivelazione oggettiva compiuta in Gesù Cristo dallo Spirito Santo e interpretata dal magistero, pluralismo teologico legittimo ma relativo, posizione da assumere circa la triplice stoltezza dell'incarnazione, della croce e della priorità data ai poveri. Maria fa parte di questo triplice scandalo: la nascita di Dio da una Vergine esula dalla cultura giudaica, grecoromana, europea ... ; è presente sotto la croce, che è la morte riservata agli abietti criminali; proclama la priorità dell'annuncio della buona novella ai poveri rovesciando la scala mondana dei valori. Passando ai valori della cultura africana, Laurentin li individua nella preferenza per il concreto (ciò che dovrebbe rendere gli africani allergici all'astratto termine mariologia) e nella «negritudine», intesa come le note specifiche ed essenziali comuni alle diverse culture africane. Retel, consultato da Laurentin, aggiunge altre due caratteristiche: il matrimonio per compenso all'interno di un primato del linguaggio e l'organizzazione degli esseri secondo il binomio materia/spirito, che vede in ogni cosa la composizione di un elemento visibile e di uno invisibile. Retel precisa il concetto di «negritudine », coniato da L. Senghor, che «non intende definire soltanto le costanti dell'anima negra ( ... ) ma anche i compiti costruttivi dell'africanità, specie l'elaborazione del socialismo africano e della civilizzazione universale». Comunque essa è innanzitutto una forza vitale, che è principio di ritmo, emozione, partecipazione, comunione, solidarietà, organizzazione democratica. Gli studiosi della letteratura africana distinguono 4 forme di negritudine:
- sofferente, che ripete con Senghor: «L'Europa mi schiacciò come il guerriero appiattito sotto i cingoli di un carro armato», ed è predisposta a comprendere il senso positivo della croce, nonché il destino di Maria;
- aggressiva, che parte dall'assenza di potere e implica la speranza nel cambiamento celebrato nel Magnificat;
- serena, che culmina nel ringraziamento (come nel Magnificat) di fronte ai valori africani e alloro potere di penetrazione universale;
- trionfante, che celebra l'Africa come fonte di valori (dalla cultura egiziana alle prime invenzioni) e centro dell'energia del mondo.
I valori ispiratori della teologia africana, e quindi del suo discorso su Maria, sono enumerati da Laurentin con applicazioni immediate:
- dinamismo, che rende sensibili al potere attivo della fede di Maria e alle sue iniziative (ma rimane il problema di aprire la concezione africana del tempo circolare a quella biblica del tempo lineare);
- profezia e carismi, al cui impeto sono propensi i cristiani africani, i quali troveranno in Maria il tipo dell'autentico profeta;
- inculturazione, che non è solo andare alle radici, ma attingere alla linfa per un nuovo sviluppo (come il Magnificat, fedele alle radici della cultura ebraica, ma con una carica rivoluzionaria sconosciuta all'Antico Testamento);
- liberazione, che si trova inscritta nel Magnificat, dove la rivoluzione evangelica contro ogni dominazione (imperialismo, colonialismo, antifemminismo ... ) si esprime in forma non violenta;
- famiglia, antenati, maternità, predispongono alla comprensione di Maria come madre e membro della comunità (dal clan familiare alla comunità della pentecoste);
- tempo, come durata prepara alla comprensione di Maria che appartiene a tutti i periodi della salvezza: Antico Testamento, Nuovo Testamento, tempo della Chiesa.
Tali presupposti antropologici dovrebbero preparare a cogliere nel vangelo alcuni aspetti di difficile assimilazione per la cultura europea, come il valore delle genealogie, il ruolo di Giuseppe padre nutrizio, ecc.

3. Maria nel Dahomey e in Uganda
L'interesse per la storia e la cultura di un determinato popolo africano appare evidente in due tesi, che precedono lo studio di R. Laurentin.

1. IL CULTO DI MARIA NELLA SPIRITUALITÀ DEL DAHOMEY
Questo tema è oggetto della tesi sostenuta al Marianum e pubblicata in estratto nel1974. Il suo autore, J. Amoussou, sacerdote nativo del Dahomey (attuale Benin), intende rendersi ragione della popolarità della devozione alla Vergine nel suo paese. Per  dare una risposta a questo fenomeno, egli adopera una progressiva focalizzazione: prima presenta i dati geografici, demografici e culturali del Dahomey, poi ne descrive l'universo religioso e infine punta l'obiettivo sul culto di Maria, sforzandosi di «sottolinearne i legami con la mentalità dei popoli autoctoni». Il nesso profondo che unisce Maria al popolo è la relazione madre-figlio nella famiglia del Dahomey. Si tratta - nell'analisi di Amoussou - di un legame affettivo molto più intimo di quello esistente in Europa. La donna africana, che si sente realizzata solo con la maternità, non sopporta che il suo bambino pianga e lo porta sempre con sé a contatto costante con il suo corpo: «Il segno esterno che ci mostra l'attaccamento della donna africana al bambino è l'inesistenza della culla». L'affetto reciproco dura tutta la vita: la madre è considerata la confidente, l'intermediaria presso il padre e l'organizzatrice degli incontri del figlio con la fidanzata. Nello stesso pantheon locale si trova accanto all'elemento maschile Lissa quello femminile Mahu. Questi presupposti culturali influiscono sul rapporto del cristiano con Maria: «Quando la Chiesa cattolica dirà agli abitanti del Dahomey che Maria è la Madre di Dio e la madre nostra, non sarà necessario insistere sulle sue qualità di mediatrice, ausiliatrice e avvocata, poiché tutte queste nozioni si riassumono in una sola parola: madre». Oltre alle direttive del magistero, orientate a fondare teologicamente il culto di Maria e a legarlo alla vita cristiana, Amoussou pensa che «la nuova pista consisterebbe nell'incoraggiare il culto domestico verso Maria». In continuazione/sostituzione del culto degli antenati, «ogni famiglia cristiana aveva un altare sormontato dalla statua della santa Vergine, dinanzi alla quale tutto il casato esprimeva le sue devozioni». Si dovrebbe favorire la spontaneità di preghiere vive e dirette, che offrirebbero «elementi, temi e simboli nuovi finora insospettati ». Si dovrebbe anche valorizzare il simbolismo dell'olio, che indica fecondità e ricchezza: «In ogni famiglia un vasetto contenente olio e posto ai piedi della statua di Maria, simboleggerebbe le innumerevoli grazie che Maria può ottenere a tutti quelli che la pregano spesso»

2. LA DEVOZIONE A MARIA IN UGANDA
Questo argomento ci è descritto in una tesi difesa nella pontificia università Urbaniana (Roma) nel1979 ed edita in estratto nel1980. Nella prima e terza parte (la seconda analizza il cap. VIII della Lumen gentium) ci viene descritta la devozione mariana dei cristiani ugandesi, che trova un momento forte nella consacrazione a Maria compiuta dai missionari nel 1879, nei suoi atteggiamenti ed espressioni. Queste sono in gran parte mutuate dall'Europa, ma non mancano quelle «tipiche della Chiesa locale in Uganda» per esempio, le invocazioni a Maria come Regina-madre, fonte di speranza, palazzo del Re, perfetta Maria ... e soprattutto «Maria Mau», cioè Maria Madre, titolo in uso anche presso i non-cristiani, che implica filiale amore e fiducia. La preferenza di questo titolo è spiegata con un riferimento culturale: «Gli ugandesi per loro tradizione e cultura amano e rispettano la madre. La regina-madre ha pubbliche funzioni e poteri ed è amata dalla gente del paese. Fin dai primi giorni della cristianità in Uganda, i cattolici amarono Maria e le divennero devoti, perché ella è la Madre di Gesù Cristo il Salvatore e le diedero i titoli della regina-madre». Altri segni tipici della devozione mariana ugandese sono i gesti corporei di riverenza, come lo stare seduti e soprattutto l'inginocchiarsi, che è un segno di saluto verso un superiore, sia esso il re, il marito o un genitore. Il forestiero che viene a conoscenza di queste espressioni nei riguardi di Maria può crederle esagerate, ma non è così perché rientrano nelle legittime usanze del popolo. L'autore discerne nell'attuale devozione mariana degli ugandesi alcuni elementi negativi, quali il primato degli esercizi di pietà {rosario) sulla liturgia, una certa mancanza di espressioni locali, l'attaccamento a medaglie. Altri elementi sono positivi: la retta concezione di Maria in subordine a Cristo, ma unita alla Chiesa, l'atteggiamento di lode e venerazione che si esprime nella preghiera, nella dedica di chiese e cappelle, nelle allusioni a Maria nel saluto ... Con il linguaggio inadeguato di «adattamento» l'ultima parte della tesi scende sul terreno della teologia, liturgia e pastorale per avanzare proposte concrete riguardanti la devozione alla Vergine. La teologia richiede sostanzialmente che da una parte la devozione esprima il contatto personale e spirituale del popolo con Maria (che trova un aggancio antropologico nella credenza tradizionale degli ugandesi nella vita dopo la morte); dall'altra essa esige che i titoli attribuiti alla Vergine tengano conto della sua relazione con la Trinità, con la Chiesa, con tutti gli uomini. La consacrazione a Maria deve essere intesa in ultima analisi come consacrazione a Dio, fedeltà alle promesse del battesimo e riconoscimento dell'Eucaristia come centro della vita cristiana.

3. Maria nell'evangelizzazione del Malawi
La prospettiva culturale è molto più accentuata nella tesi di licenza presentata da P. Gamba alla Gregoriana nel 1983 che non nelle due precedenti. L'autore muove infatti dalla descrizione della cultura del Malawi, un paese dell'Africa meridionale, e vi trova diverse «pierres d'attente» o possibili punti di inserzione del discorso su Maria:
- il matriarcato comune a parecchie tribù considera la donna più anziana quale custode dei valori della famiglia e sorgente di unità;
- l'importanza della donna nel clan come datrice di vita, simbolo di fedeltà e coraggio ed educatrice dei figli, anzi anticamente essa svolgeva ruoli semidivini (sposa dello Spirito o di Dio, medium ... );
- valore vitale della comunità in quanto ambiente della propria affermazione («esisto perché partecipo»);
- fede religiosa altamente sviluppata e vivo senso della presenza di Dio e degli antenati.
La storia della implantatio Ecclesiae in Malawi si è svolta nel segno di Maria, come appare dal diario dei missionari (che hanno consacrato a lei la missione), dai catechismi, preghiere ed espressioni varie. Maria divenne segno di unione e di riconoscimento dei cattolici. Si deve però osservare che la presenza di Maria nell'evangelizzazione del Malawi solleva due grosse problematiche:
a) la devozione alla Vergine unisce i cattolici, ma li divide dai protestanti, per i quali Maria è il segno della separazione tra le confessioni cristiane;
b) «la cultura del Malawi ha aiutato moltissimo il popolo ad accettare Maria, ma l'insegnamento circa Maria non ha aiutato pienamente ad accettare la cultura del Malawi»
Con urgenza bisogna risolvere questo problema: «come riconciliare Maria, cultura e Chiese nel Malawi?». La soluzione è riposta in un duplice orientamento:
- Il primo consiste nell'abbandonare un modo trionfalista di presentare Maria e nell'appropriarsi della prospettiva del Concilio Vaticano II, che ha operato una svolta teologica e pastorale inserendo Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Ne consegue che l'insegnamento cattolico circa la Madre di Dio deve assumere tre caratteristiche: trinitaria, cristologica, ecclesiale, mentre il culto della V ergine sarà contrassegnato dalle note biblica, liturgica, ecumenica ed antropologica (cfr MC). Questa nuova impostazione è quanto mai urgente nel Malawi, quale base di convergenza delle diverse confessioni cristiane.
- Il secondo orientamento tende a saldare il culto di Maria con la cultura africana. Per raggiungere questo scopo bisogna puntare sulle «piccole comunità cristiane» o comunità di base, alle quali è riconosciuta una priorità pastorale dalla Conferenza episcopale dei paesi dell'Africa dell'est (AMECEA). P. Gamba pensa che la categoria più adeguata per inserire il riferimento a Maria nelle «piccole comunità cristiane» sia quello di «presenza». Questa categoria è rilevante per la cultura del Malawi, per la quale Dio, lo Spirito, gli antenati sono forze vive in contatto con ogni persona qui e ora. Tale presenza include dei doveri del defunto nei confronti dei vivi: essere «maestro di costumi », comunicare prosperità e pace, assicurare la riunione della famiglia nella «regione della pace». Tutta questa concezione si può applicare a Maria, che è una «defunta-vivente» in grado di aiutare le «piccole comunità cristiane» del Malawi a vivere un'esperienza spirituale profonda: «Ella è qui, nelle piccole comunità cristiane; ella sta insegnando i costumi, donando pace e prosperità, e assicurando che tutti i membri di esse si uniranno a lei nella regione della pace». Come le più localizzate incarnazioni della Chiesa universale, le «piccole comunità cristiane» sono contrassegnate da tutto ciò che appartiene alla natura della Chiesa: devono essere Koinonia, Kerigma e Diakonia (AMECEA, 1979). Proprio questa triplice dimensione non può prescindere dalla presenza di Maria, Madre della Chiesa, testimone e annunciatrice di obbedienza a Cristo, serva del Signore. La comunità cristiana raggiunge la Koinonia nella fede, speranza e amore con la presenza viva della Madre della Chiesa. Nella cultura matrilineare del Malawi la madre è presente alla nascita sia fisica che sociale dei bambini, nonché ai riti di iniziazione che preparano alla vita adulta. Maria è riconosciuta come madre che introduce i figli nella comunità, «maestra delle tradizioni» e, insieme, madre che sa soffrire e rimanere aperta alle vie nuove dello Spirito. E un esempio significativo per la comunità del Malawi, che si trova in un momento di transizione e di dolorosa ricerca del proprio ruolo. La Diakonia trova in Maria un autentico esempio. La donazione di sé all'annunciazione, il mettersi a servizio della comunità a Cana, il suo coraggio ai piedi della Croce... fanno di Maria una «preesistente piccola comunità cristiana» al servizio di Cristo e dei fratelli. Il Kerigma, precipuo compito delle piccole comunità cristiane, scopre la sua «Stella» in Maria, che annuncia Gesù vivente in mezzo al popolo come salvatore e liberatore. Il progetto spirituale africano deve prevedere la presenza di Maria come elemento che arricchisce la vita della Chiesa, incarna il cristianesimo nella cultura del popolo, assicura la riunione dei cristiani nella «regione della pace».

4. Progressivo sviluppo delle mariologie inculturate
La presente esposizione sulle marialogie inculturate mostra con evidenza che si tratta di un capitolo incipiente. La messe raccolta è tutt'altro che abbondante e definitiva. Più matura, la teologia latinoamericana ha offerto un esempio abbastanza riuscito di marialogia in contesto. La teologia africana fin dai primi saggi si rivela promettente, ma è necessario moltiplicare gli studi a raggio limitato e con impostazione decisamente culturale per approdare a risultati soddisfacenti dal punto di vista teologico e pastorale. Quanto all'impatto della mariologia con la multiforme cultura asiatica (per non parlare dell'Oceania) le speranze di nuovi apporti non sono minori che altrove, come è mostrato dal saggio sulla «teologia del terzo occhio» citato da J. P. Gabus nella trattazione su Maria e l'ecumenismo». Acquisito per ora è il metodo che ricerca i nessi (e le divergenze) tra mariologia e cultura: esso sarà adottato dalle differenti Chiese locali, nel contesto di una pastorale che voglia giungere alle radici della vita degli uomini da evangelizzare o ri-evangelizzare.

Bibliografia
DE FIORES S., Maria nella teologia contemporanea, Centro di Cultura Mariana “Madre della Chiesa”, Roma 1991, pp. 392-399; COSTANTICI C., La Madonna nelle missioni, in AA. VV., Mater Christi, Edizioni universali, Roma 1958, pp. 263-351; OGGÉ E., La Madonna missionaria, Edizioni missioni Consolata, Torino 1960, p. 356; GALU A., Madre della Chiesa, vol. 1: La Madonna e l'Europa,Edizioni Paoline, Pescara 1964; vol. 2: La Madonna e l'Asia, Società Tipografica Editrice. Ascoli Piceno 1967, pp. 366; vol. 3: La Madonna e le Americhe, Tipolitografia Cesari, Ascoli Piceno1975, pp. 270; vol. 4: La Madonna e l'Africa, Libreria Cattolica, Ascoli Piceno 1978, pp. 286; vol. 5: La Madonna e l'Oceania, Centro Stampa Piceno, Ascoli Piceno 1980; LAURENTIN R., Mary and african Theology, in AA. VV., Mary in Faith and Life in the New Age of the Church, University of Dayton, 1983, pp. 3-44; AMOUSSOU J., Le culte de Marie dans la spiritualité africaine au_Dahomey en Afrique noire, Oudiah, Grand séminaire Saint Gall, 1974; BUKENYA BIRIBONWA J. M., The devotion to Mary in Uganda in the light of the doctrine of chapter VIII of Lumen Gentium, Pontificia Universitas Urbaniana, Roma 1979, pp. XXXVIII-188; GAMBA P., Mary in the Evangelization of Malawi: History and culture for a spiritual Project, Ponuficia Umversltas Gregonana, Roma 1983; VEUATH D., La mariologia nella Chiesa dell'India, in AA. VV., La teologia. Aspetti innovatori e loro incidenza sulla ecclesiologia e sulla mariologia, LAS, Roma 1989, pp. 315-327.

VEDI ANCHE:
 - FONTI DELLA MARIOLOGIA
 - INSEGNAMENTO DELLA MARIOLOGIA
 - MARIOLOGIA
 - MARIOLOGIA DELLE «GLORIE»
 - MARIOLOGIA ECUMENICA
 - MARIOLOGIA POPOLARE
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 - MODELLI INTERPRETATIVI DI MARIA
 - POSTULATI DELLA MARIOLOGIA
 - SIMBOLISMO E MARIOLOGIA
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